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NEWS

1° dicembre 2020: Giornata Mondiale della Lotta all’AIDS – “Solidarietà globale, responsabilità condivisa”.

29 Novembre 2020 by Lila Catania

Nel 2019, in Sicilia sono stati diagnosticati 195 nuovi casi di infezioni da HIV (60 casi a Catania), in leggera diminuzione rispetto agli anni precedenti (213 nel 2018, 285 nel 2017); 2531 sono i nuovi casi in Italia (3003 nel 2018 3579 nel 2017). Circa l’80% sono maschi.

Aumenta l’età alla diagnosi, più del 50% delle nuove diagnosi, infatti, si rileva nelle persone di età compresa fra 30 e 50 anni. Circa il 42% delle nuove diagnosi si riscontra in maschi che fanno sesso con i maschi, il 25% in maschi e il 17% in donne che si dichiarano eterosessuali e il 6 % in persone che fanno uso di sostanze per via endovenosa. Gli italiani sono circa 75%.Dal 2016, si osserva una diminuzione del numero di nuove diagnosi negli stranieri. La proporzione di stranieri tra le nuove diagnosi è aumentata gradualmente tra il 2012 (27,3%) e il 2016 (35,7%), mentre è diminuita a partire dal 2016; nel 2019, è pari al 25,2%. (Dati COA-ISS)

L’aumento delle persone in trattamento e l’aumento delle persone che aderiscono alla terapia, rendendo la persona in trattamento non contagiante (U=U, Undetectable=Untransmittable, Nonrilevabile=Nontrasmittibile), riduce il numero delle persone che possono trasmettere e quindi il numero dei contagi.

Mentre si riduce il numero delle persone che acquisiscono il virus, aumenta il numero di persone che arriva tardivamente alla diagnosi dell’infezione (in fase avanzata di malattia), per cui resta stabile il numero di persone che muore di AIDS.

Per ridurre ulteriormente i nuovi casi di infezione da HIV e per abbassare il numero delle morti da AIDS, è necessario:

  • continuare ad assistere le persone che vivono con l’infezione da HIV, anche e soprattutto, in questo periodo di emergenza COVID-19 (non bisogna ridurre le giornate di apertura degli ambulatori dedicati, non bisogna eliminare il libero accesso);
  • continuare ad offrire il test, anche e soprattutto, in questo periodo di emergenza COVID-19 (non bisogna eliminare il libero accesso);
  • aumentare l’offerta del test per garantire alle persone con l’infezione da HIV il trattamento precoce;
  • incrementare l’uso del preservativo, maschile e femminile, magari rendendolo gratuito;
  • aumentare l’offerta della profilassi pre-esposizione (PREP), offrire la terapia di prevenzione alle persone con elevato rischio sessuale;
  • diagnosticare precocemente l’infezione continuando a formare il personale sanitario (medici e infermieri) a riconoscere le patologie sentinella (i sintomi che fanno sospettare precocemente l’infezione da HIV;
  • potenziare le campagne di prevenzione/informazione dirette a tutta la popolazione aumentando quelle dirette alle persone con comportamento a rischio;
  • implementare gli ambulatori rivolti alle persone vulnerabili (adolescenti, persone che fanno uso di sostanze, persone che si prostituiscono, persone in carcere, migranti, etc).

AGGIORNAMENTO DELLE NUOVE DIAGNOSI DI INFEZIONE DA HIV E DEI CASI DI AIDS IN ITALIA AL 31 DICEMBRE 2019. Centro Operativo AIDS (COA) – Istituto Superiore di Sanità

  • L’incidenza (casi/popolazione) delle nuove diagnosi HIV mostra una riduzione dal 2012, con una diminuzione più evidente nell’ultimo biennio.
  • La riduzione del numero di nuove diagnosi HIV interessa tutte le modalità di trasmissione.
  • Nel 2019 l’incidenza più elevata di nuove diagnosi HIV si riscontra nella fascia di età 25-29 anni.
  • Diversamente dagli anni precedenti, in cui la modalità di trasmissione più frequente era attribuita a rapporti eterosessuali (maschi e femmine), nel 2019, per la prima volta, la quota di nuove diagnosi HIV riferibili a maschi che fanno sesso con maschi (MSM) è pari a quella attribuibile a rapporti eterosessuali.
  • Tra i maschi, circa la metà delle nuove diagnosi HIV è in MSM.
  • Dal 2016 si osserva una diminuzione del numero di nuove diagnosi HIV in stranieri.
  • Dal 2017 aumenta la quota di persone a cui viene diagnosticata tardivamente l’infezione da HIV (con bassi CD4 o presenza di sintomi): nel 2019 2/3 dei maschi eterosessuali e oltre la metà delle femmine con nuova diagnosi HIV sono stati diagnosticati tardivamente (CD4 < 350 cell/µL).
  • Un terzo delle persone con nuova diagnosi HIV nel 2019 scopre di essere HIV positivo a causa della presenza di sintomi o patologie correlate con HIV.
  • Il numero di decessi in persone con AIDS negli ultimi anni è rimasto stabile.
  • Nel 2019 diminuisce la proporzione di persone con nuova diagnosi di AIDS che scopre di essere HIV positiva nei pochi mesi precedenti la diagnosi di AIDS.

APPROFONDIMENTI

MOTIVI DI EFFETTUAZIONE DEL TEST ALLA DIAGNOSI HIV: ITALIANI E STRANIERI A CONFRONTO.

Tra il 2012 e il 2018 i motivi più frequentemente riportati sono, rispettivamente, per italiani e stranieri: la sospetta patologia HIV correlata/ sintomi HIV (30,2% vs 28,9%; p-value 0,05); l’aver avuto un comportamento a rischio generico (18,1% vs 14,3%; p-value < 0,05); gli accertamenti per patologie non HIV correlate (14,0% vs 8,6% p-value < 0,05); i rapporti senza preservativo (10,7% vs 9,9%; p-value 0,05); iniziative di screening e campagne informative (5,4% vs 8,9%; p-value 0,05).

Dallo studio emerge che i motivi di effettuazione del test HIV più frequenti sono simili tra italiani e stranieri (patologia HIV correlata, comportamenti a rischio); tuttavia, si rilevano differenze evidenti relativamente agli accertamenti per patologie non HIV correlate, che rappresentano un motivo più frequente tra gli italiani, mentre gli stranieri vengono diagnosticati più spesso in occasione di una gravidanza. Risulta, infine, estremamente interessante il trend in aumento delle diagnosi a seguito di campagne informative o iniziative di screening in entrambi i gruppi, evidenziando l’appropriatezza e l’efficacia delle campagne di testing e di informazione adottate in questi ultimi anni su tutto il territorio nazionale.

ECCESSO DI MORTALITÀ PER MALATTIE EPATICHE NELLE PERSONE CON AIDS

Le malattie del fegato sono una delle principali cause di morte non correlate all’AIDS tra le persone con infezione da HIV. Per valutare se le persone con AIDS abbiano realmente un eccesso di mortalità per malattie epatiche rispetto alla popolazione generale è stato condotto uno studio (1) basato sui dati della sorveglianza AIDS nel periodo 2006-2015 e sui dati ISTAT delle cause multiple di morte (CMM), ossia i dati che riportano tutte le condizioni che hanno contribuito al decesso e che sono presenti nel certificato di morte.

Lo studio ha confermato l’ipotesi di eccesso di mortalità associato a patologie epatiche nelle persone con AIDS, stimando una mortalità di 40,4 volte superiore rispetto alla popolazione senza AIDS per tutte le malattie epatiche; di 131,1 volte superiore per le epatiti virali, di 29,9 volte superiore per le malattie epatiche non virali e di 11,2 volte superiore per i tumori del fegato. Emerge, pertanto, la necessità di promuovere tra le persone con HIV azioni di prevenzione mirate a limitare le complicanze dovute a queste coinfezioni attraverso l’offerta dei test per HBV e HCV, della vaccinazione anti-HBV e del trattamento antivirale per HCV. Inoltre, anche seguire uno stile di vita sano, che includa la riduzione del consumo di alcolici e una dieta corretta, potrebbe avere un ruolo nel limitare l’eccesso di mortalità. Un’attenzione particolare meritano le persone con AIDS più giovani e le persone che fanno uso di droghe per via iniettiva.

BASSA PERCEZIONE DEL RISCHIO ALLA PRIMA DIAGNOSI HIV: FATTORI DEMOGRAFICI E SOCIO-ECONOMICI

In Italia, circa il 40-60% delle persone sieropositive viene diagnosticata in una fase avanzata dell’infezione da HIV e la proporzione di queste diagnosi tardive non sembra diminuire sostanzialmente dal 2010. Questo è dovuto a una bassa percezione del rischio di contrarre l’infezione da HIV nella popolazione generale. La bassa percezione del rischio può essere conseguente a diversi fattori come l’idea, ad esempio, che l’HIV non sia più un problema di salute, grazie all’elevata efficacia dei trattamenti antiretrovirali, così come anche alla paura e/o allo stigma legati a un’eventuale diagnosi positiva.

Sono risultate associate a una scarsa percezione del rischio di infezione da HIV: le persone con età superiore a 40 anni, le persone di genere maschile, gli individui che avevano acquisito l’HIV per via eterosessuale, gli IDU, gli individui che risiedono in Italia Centrale, le persone con un basso livello di istruzione, le persone residenti in aree a bassa o ad alta deprivazione rispetto a quelle residenti in aree a media deprivazione.

Alcuni gruppi di popolazione sembrano essere meno consapevoli del rischio HIV (maschi, persone più mature, eterosessuali, IDU, residenti in Centro Italia, con basso livello di istruzione). In particolare, appare rilevante l’associazione sia con una bassa che con un’alta deprivazione, suggerendo che il rischio di infezione viene sottostimato sia dagli strati sociali che hanno un buon livello di benessere che dagli strati sociali a basso livello socio-economico. Questo studio sottolinea la necessità di condurre campagne di prevenzione rivolte non solo alle persone più deprivate o vulnerabili (migranti, IDU, giovani, donne), come sarebbe auspicabile, ma anche ai sottogruppi di popolazione con una buona condizione di benessere e che vengono spesso considerati a minor rischio.

Leggi il report completo su:

file:///C:/Users/Hp/Desktop/COA%202020.pdf

 

Leggi anche

https://www.lila.it/it/lilanews/1390-wad-2020-covid

https://www.unaids.org/sites/default/files/media_asset/UNAIDS_FactSheet_en.pdf

https://www.unicef.org/tajikistan/press-releases/320000-children-and-adolescents-newly-infected-hiv-2019-1-every-100-seconds-unicef

 

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Ripensare la sanità per affrontare il COVID. Luciano Nigro – 22 ottobre 2020

23 Ottobre 2020 by Lila Catania

Prima di affrontare l’epidemia Covid-19, è necessario accennare, in generale, alla prevenzione e alla cura delle malattie.

Le malattie si distinguono in curabili o incurabili e molte malattie possono essere prevenute.

Cosa significa curare e cosa significa fare prevenzione?

Curare viene dopo aver fatto diagnosi; la persona ammalata viene curata a casa ma se lo stadio della malattia è avanzato o la malattia è grave la persona ammalata viene curata in ospedale.

La cura, quindi, viene effettuata a casa o in ospedale.

Fare prevenzione vuol dire eliminare o ridurre il più possibile tutti i fattori che possono contribuire all’insorgere di determinate malattie, quindi incidere sui fattori di rischio. (Prevenzione delle Malattie rare, Istituto Superiore di Sanità; Cosa Significa Fare Prevenzione, Gruppo Ospedaliero Italiano).

Possiamo identificare diversi tipi di fattori di rischio. Ci sono fattori di rischio sui quali possiamo intervenire poco come le malattie genetiche e, in un certo qual modo, l’età (molte malattie sorgono in età avanzata, come le patologie degenerative di tipo vascolare. cardio e cerebro-vascolari). I fattori di rischio modificabili si riferiscono all’incidenza di malattie legate a fattori socio-economici, alla qualità della vita, all’ambiente, al tipo di lavoro, allo stile di vita. Su tutti ha rilevante importanza l’azione di servizi medici.

La prevenzione è articolata su tre livelli.

La prevenzione primaria, mira, riducendo l’incidenza di una patologia, tenendo sotto controllo i fattori di rischio e aumentando la resistenza individuale a tali fattori, a prevenire l’insorgenza della malattia o ad attenuarne la gravità. Uno degli strumenti principali di prevenzione primaria sono ad esempio le campagne di vaccinazione contro specifici agenti infettivi, ma anche le campagne di promozione di un corretto stile di alimentazione e di vita, e quelle rivolte a categorie di persone considerate ad alto rischio come, ad esempio, i fumatori o quelle studiate per individui che presentano un rischio genetico elevato.

La prevenzione primaria ha il suo campo d’azione sul soggetto sano e si propone di mantenerlo in condizioni di benessere e di evitare la comparsa di malattie. In particolare, è un insieme di attività, azioni ed interventi che attraverso il potenziamento dei fattori utili alla salute e l’allontanamento o la correzione dei fattori causali delle malattie, tendono al conseguimento di uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale dei singoli e della collettività o quanto meno ad evitare l’insorgenza di condizioni morbose.

 La prevenzione secondaria ha lo scopo di individuare una patologia in uno stadio molto precoce in modo che sia possibile trattarla in maniera efficace e ottenere di conseguenza un maggior numero di guarigioni e una riduzione del tasso di mortalità. La prevenzione secondaria coincide quindi con le misure di diagnosi precoce e con i programmi di prevenzione, alcuni dei quali promossi anche a livello nazionale e regionale, quali: tumore del seno, tumore del collo dell’utero, tumore del colon-retto. L’importanza degli screening sta nella possibilità di individuare gli stadi iniziali di una malattia anche in persone che non presentano sintomi evidenti.

La prevenzione secondaria attiene a un grado successivo rispetto alla prevenzione primaria, intervenendo su soggetti già ammalati, anche se in uno stadio iniziale. Consente l’identificazione di una malattia o di una condizione di particolare rischio seguita da un immediato intervento terapeutico efficace, atto a interromperne o rallentarne il decorso.

La prevenzione terziaria ha lo scopo di prevenire le cosiddette recidive (o ricadute) e gestire la riabilitazione e il reinserimento del malato, così come il controllo clinico-terapeutico di malattie ad andamento cronico o irreversibili.

La prevenzione terziaria, fa riferimento a tutte le azioni volte al controllo e contenimento degli esiti più complessi di una patologia ed ha come obiettivo quello di evitare o comunque limitare la comparsa sia di complicazioni tardive che di esiti invalidanti. Con prevenzione terziaria si intende anche la gestione dei deficit e delle disabilità funzionali consequenziali ad uno stato patologico o disfunzionale. Si realizza attraverso misure riabilitative e assistenziali, volte al reinserimento familiare, sociale e lavorativo del malato, e all’aumento della qualità della vita. (Es. misure di riabilitazione motoria; supporto psicologico; ecc.)

Dagli anni Ottanta, alle tre tradizionali modalità di prevenzione si è aggiunta la strategia di riduzione del danno che si riferisce a politiche, programmi e pratiche che mirano a ridurre al minimo sia l’impatto negativo che uno stile di vita o un problema sociale può indurre sulla salute e sulla vita sociale che sulla storia legale di una persona.

La riduzione del danno, strategia sviluppata inizialmente per adulti con problemi di abuso di sostanze, negli ultimi anni è stata applicata con successo nei programmi di educazione alla salute sessuale (per ridurre sia le gravidanze in adolescenti che le malattie a trasmissione sessuale, compreso l’HIV), nei programmi per la riduzione del consumo rischioso di alcol.

Con il termine prevenzione intendiamo, quindi, un insieme di attività, azioni ed interventi attuati con il fine prioritario di promuovere e conservare lo stato di salute ed evitare l’insorgenza di malattie.

La prevenzione prioritariamente si effettua sul territorio con l’intervento delle strutture sanitarie del territorio.

Con il termine prevenzione intendiamo, quindi, un insieme di attività, azioni ed interventi attuati sul territorio con il fine prioritario di promuovere e conservare lo stato di salute ed evitare l’insorgenza di malattie.

Durante e alla fine del primo picco dell’epidemia Covid-19, tutti gli esponenti politici e culturali di questo paese hanno concordemente dichiarato che:

il Sistema Sanitario Nazionale è stato smantellato a favore del Servizio Sanitario Privato;

i posti letto delle unità di rianimazione e delle terapie intensive sono insufficienti a gestire le emergenze;

il Sistema Sanitario Territoriale è stato smantellato;

i medici di base lavorano isolati e non hanno risorse;

il Servizio Sanitario Privato non ha, se non in minima parte, contribuito a fronteggiare l’epidemia;

non esistono piani per affrontare le epidemie;

a settembre avremo un secondo picco e saremo preparati;

non siamo stati in grado di proteggere le fasce deboli (anziani, persone con patologie croniche, etc.).

Ma soprattutto, tutti dicevano, dichiaravano, urlavano, che si era fatto il possibile di fronte a una patologia nuova.

Il possibile è stato: aumentare posti letto in rianimazione, proclamare articolati lockdown, il “distanziamento sociale”, chiudere scuole e università, uso di mascherine, lavare e disinfettare le mani. Soprattutto creare “reparti Covid-19” e, di fatto, chiudere gli ospedali alla diagnosi e alla cura delle malattie croniche, mantenendo gli ospedali aperti, dopo tampone per la diagnosi del Covid-19 negativo, alle emergenze e ai parti.

A luglio la curva dell’epidemia comincia a scendere e cosa avviene: vengono chiusi progressivamente i “reparti Covid-19”, mantenendone uno per provincia, vengono attivate navi per la quarantena per migranti (la quarantena sulle navi è stata abolita al tempo dei pirati) e poi…e poi niente. Si continua a ripetere che arriverà un nuovo picco e si comincia a sperare nella scoperta di un vaccino salvifico.

Però si continua a insistere sul distanziamento sociale, sul lavoro in remoto, su mascherine, generando molta confusione. Mezzi pubblici si, feste private no; manifestazioni sportive si, discoteche no; test rapidi (boh?) e tamponi dove e come e quando si fanno; quarantena 14 giorni no sette, e via di seguito.

Abbiamo capito che possono insorgere nuove epidemie e dobbiamo essere preparati a prevenirle e ad affrontare l’aumento dei ricoveri.

Alcune proposte

Il modello di intervento che dovremmo assumere per affrontare momenti di assistenza sanitaria emergenziale e per avere un servizio di prevenzione territoriale efficace dovrebbe riaffermare il ruolo del Sistema Sanitario Nazionale, riaffermare il concetto di salute gratuita per tutti e porre fine alla commistione fra Sanità Pubblica e Sanità Privata.

Affrontare un aumento non previsto di malati che necessitano di ricovero significa:

  • avere sempre una buona percentuale di posti liberi in rianimazione (epidemie, terremoti, etc.);
  • aumentare i reparti di terapia intensiva;
  • creare reparti dove oltre allo specialista principalmente necessario (ortopedici e chirurghi in caso di terremoto, infettivologi in caso di epidemia, etc) ci sia una équipe multidisciplinare;
  • creare percorsi differenziati per l’accesso in ospedale;
  • fornire il personale sanitario e le persone ricoverate di adeguati e sufficienti presidi di prevenzione;
  • essere dotati di personale medico, infermieristico, tecnico, socio-psicologico e ausiliario sufficiente (eliminazione del numero chiuso);
  • incentivare la formazione;
  • non si deve assolutamente ridurre o rendere difficile l’accesso in ospedale alle persone.

Implementare, sul territorio, la prevenzione delle malattie significa:

  • incentivare il lavoro di gruppo dei medici di base;
  • collegare i medici di base con le altre strutture del territorio (ospedali, ambulatori specialistici);
  • ri-assumere i medici scolastici e i medici del lavoro;
  • adeguare ai bisogni reali l’assistenza domiciliare (al momento copre il 18% del fabbisogno), quindi assumere medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti, tecnici e personale ausiliario;
  • disporre di tamponi sufficienti a testare tutte le persone sintomatiche e i contatti nel più breve tempo possibile per osservarle e trattarle precocemente;
  • adottare misure per proteggere le persone vulnerabili e adeguare le strutture per anziani, per diversamente abili, etc. alle norme (posti letto adeguati alla superficie della struttura e personale sanitario adeguato al numero di persone accolte);
  • eliminare il numero chiuso;
  • incentivare la formazione;
  • adeguare, in termini di edilizia, costantemente le scuole, le università, gli ospedali alle esigenze della prevenzione;
  • fornire il personale sanitario e le persone di adeguati e sufficienti presidi di prevenzione.

Purtroppo, concordo con Marco Buscetta che ha scritto sul Manifesto, “il modello che sta prendendo piede, non solo in Italia è quello fondato su una contrapposizione tra le attività produttive disciplinate (da mantenere attive ad ogni costo e con qualunque rischio) e le inclinazioni relazionali autonome, l’esercizio di libertà individuali (spesso più prudenti e responsabili dei criteri adottati dai capitani d’industria nelle loro fabbriche) da reprimere e sanzionare”.

Spetta allora a noi tutti e a una seria e approfondita critica politica il compito di intervenire per impedire che l’ordine economico passi, ancora una volta indenne, attraverso una tempesta, reale o fittizia poco importa, che potrebbe travolgere la vita di tutti.

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Chiusura estiva servizio Help-line e Test salivari

23 Luglio 2020 by Lila Catania

Cari amici e sostenitori di LILA Catania, vi auguriamo una buona estate e vi ricordiamo che:

il centralino telefonico riprenderà il 7 settembre 

i test salivari riprenderanno il 17 settembre

LILA Catania

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Alcune riflessioni sul Covid-19

5 Maggio 2020 by Lila Catania

Riceviamo e pubblichiamo da Luciano Nigro, presidente LILA Catania.

230.000 morti, che sicuramente aumenteranno, allarmano e  innegabilmente fanno paura.

Mi chiedo, però, perché, ad oggi, non ci siamo mai preoccupati e non ci preoccupiamo di tanti altri terribili dati.
Nel mondo, 325 milioni di persone sono portatrici dell’infezione da epatite B e C e ogni anno ne muoiono per complicanze 1 milione e 400 mila; nel 2017, 10 milioni di persone hanno contratto la tubercolosi,  un milione i morti. Un milione di bambini si sono ammalati di tubercolosi, 230.000 i morti. Nel 2018, 770 mila persone sono morte a causa del virus HIV.

Una lista decisamente parziale, senza parlare delle morti da incidenti stradali, colera, ebola, diarree, anemie, morbillo, etc.

Ogni giorno, in Italia, 485 persone muoiono per tumore, 170.720 per anno; le morti da infezioni ospedaliere sono aumentate da 18.668 nel 2003 a 49.301 nel 2016; 9 persone muoiono in seguito ad incidenti stradali e altre 665 rimangono ferite. Da gennaio a luglio del 2019, 599 persone sono morte per “incidenti” sul lavoro. Negli anni passati, ogni anno, sono morte per complicanze da influenza da 15.000 a 40.000 persone.

Quest’anno è esplosa la pandemia da Covid-19. Ovviamente le nuove infezioni non si sa come si presentano e come si curano, bisogna aspettare, osservare, studiare e trarre conclusioni. Tra uno/ due anni potremo sapere cosa è accaduto.

In queste circostanze possiamo solamente applicare la prevenzione e tentare la cura. L’ospedale è il luogo dove le malattie si curano, il territorio quello dove si prevengono.

Immediatamente. abbiamo scoperto che la causa principale che ha portato a non saper fronteggiare la pandemia è stato il progressivo smantellamento della sanità pubblica (ospedali e territorio) effettuato da tutte le forze politiche italiane a vantaggio della sanità privata. Tagli, politiche sbagliate (la salute come azienda), hanno provocato la catastrofe e hanno mostrato che il re è nudo. I reparti di malattie infettive, di terapie intensive e di rianimazione sono mal equipaggiati e con personale ridotto, medico e infermieristico; la medicina del territorio è stata azzerata (da anni mancano medici scolastici, del lavoro, del territorio e di salute pubblica, non sono state portate a regime le convenzioni nella medicina penitenziaria, non esiste una adeguata copertura dell’assistenza domiciliare, residenze sanitarie assistenziali per anziani e malattie croniche privatizzate e senza personale, etc.), i medici di base lavorano in solitudine e senza mezzi o supervisioni.

Le persone sintomatiche affette dall’infezione, in conseguenza di un territorio sguarnito, si sono riversate nei pronto soccorso che sono diventati posti privilegiati di trasmissione e diffusione del Covid19 (da persone con il virus a persone che vi si trovavano perché stavano male). Nei pronto soccorso e nei reparti dedicati, e aggiungerei in tutti i presidi, le norme di profilassi universale, non applicate in tempo di HIV, SARS, H5N2, hanno continuato a non essere applicate, non sono stati individuati percorsi di accesso differenziati, sono in gran parte mancati i presidi essenziali (mascherine, guanti, disinfettanti).

Inizia il caos, la soluzione è il lockdown, tutti a casa. Senza pensare al fatto che la quarantena costa e che le persone non debbono restare sole in preda alla paura. È stato imposto: se state male telefonate al medico di base, nessuno viene a visitarvi, se peggiorate il medico di base invia il personale addetto per effettuare test e se positivi e peggiorate verrete ricoverati.

Per cui è potuto anche accadere che le persone anziane affette da malattie gravi, che fino al 2019 morivano a casa, hanno intasato terapie intensive e reparti COVID, facendo aumentare inverosimilmente la percezione del problema, e facendo aumentare le morti da coronavirus (nessuna distinzione fra morti per e morti con corona).

Perché chi ci governa non ha immediatamente convertito parte della produzione industriale  in fabbriche per produrre le attrezzature per rianimazione e terapia intensiva, perché invece di costruire nuovi reparti non sono state utilizzate strutture dismesse o strutture convenzionate?

Perché non è stato rafforzato il territorio, fondamentale durante la fase 1 e indispensabile nella fase 2, potenziando l’assistenza domiciliare a supporto dei medici di base, individuando piani di prevenzione per le case di riposo, per il carcere, e per i luoghi superaffollati.

Perché non si è seguito l’esempio di un medico oncologo ospedaliero di Piacenza, che non ha abbandonato i suoi malati, ha creato una piccola equipe, ed è andato a trovarli a casa munito di un ecografo palmare e quando ha notato segni di polmonite interstiziale ha iniziato il trattamento senza aspettare tamponi. Ha curato il corpo ma anche la psiche, che rappresenta metà del trattamento.

Possibile che ci siamo fatti convincere che è giusto far morire da sole le persone? Che la sanità serve solo per trasferire le persone in ospedale?  Possibile che  governo e regioni non abbiano un piano per le emergenze e una commissione da far intervenire subito?

Nessuno si chiede perché in alcune città come Milano/Bergamo, Madrid, New York l’infezione si sia diffusa rapidamente e in maniera incontrollabile. Perché non a Roma, Palermo, Chicago, San Francisco o Barcellona?
L’argomento più difficile da affrontare è quello relativo alla libertà delle persone, i cittadini pagano le tasse per avere, tra l’altro, un servizio sanitario che li protegga e li supporti, che punti sul cambiamento dei comportamenti sbagliati per prevenire i problemi. I proibizionismi non hanno mai funzionato, non funzionano e non funzioneranno. E’ sempre più necessario essere partecipi e non spettatori.

“Quanto meno mangi, bevi, compri libri, vai a teatro, al ballo e all’osteria, quanto meno pensi, ami, fai teorie, canti, dipingi, verseggi, ecc., tanto più risparmi, tanto più grande diventa il tuo tesoro, il tuo capitale. Quanto meno tu sei, quanto meno realizzi la tua vita, tanto più hai; quanto più grande è la tua vita alienata, tanto più accumuli del tuo essere estraniato.” diceva Marx.

Tutte le opere sono di Renato Guttuso.

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Dichiarazione EACS e BHIVA sul rischio di COVID-19 per le persone che vivono con l’HIV (PLWH)

3 Maggio 2020 by Lila Catania

COVID-19 e HIV. Riceviamo e pubblichiamo da LILA Nazionale, la traduzione della dichiarazione pubblicata giovedì 30 aprile 2020 dalla European AIDS Clinical Society (EACS)  e dalla British HIV Association (BHIVA)

Sono state pubblicate le prime serie di casi di pazienti affetti da HIV con COVID-19 (1-3). Finora non ci sono evidenze di un più alto tasso di infezione da COVID-19 o di un diverso decorso della malattia nelle persone con HIV rispetto alla popolazione generale.

Le prove attuali indicano che il rischio di malattie gravi aumenta con l’età, il sesso maschile e con alcuni problemi medici cronici come malattie cardiovascolari, malattie polmonari croniche e diabete. Sebbene le persone che vivono con l’HIV in trattamento con una conta normale delle cellule T CD4 e la soppressione della carica virale possano non essere ad aumentato rischio di malattia grave, molte persone che vivono con l’HIV hanno altre condizioni che aumentano il rischio. In effetti, quasi la metà di esse in Europa ha più di 50 anni e problemi medici cronici polmonari, cardiovascolari e cronici. Il fumo è un fattore di rischio per le infezioni respiratorie; l’interruzione del fumo dovrebbe pertanto essere incoraggiata per tutti. Le vaccinazioni contro influenza e pneumococco devono essere tenute aggiornate.

Si presume che la soppressione immunitaria, indicata da una bassa conta delle cellule T CD4 (<200 / µl), o chi non assume un trattamento antiretrovirale, sarà anche associata ad un aumentato rischio di presentazione più grave della malattia. Per i pazienti con un basso numero di CD4 (<200 / ml) o che presentano un declino del CD4 durante un’infezione da COVID-19, si raccomanda di iniziare la profilassi delle infezioni. Maggiori informazioni sulle raccomandazioni per la profilassi e il trattamento di specifiche infezioni opportunistiche sono disponibili nelle linee guida BHIVA / EACS per l’HIV / AIDS.

Trattamento: antiretrovirali e altre opzioni

Lopinavir/r (Kaletra) e darunavir (Rezolsta)

 Sono in corso ricerche su alcuni antiretrovirali per l’HIV che potrebbero avere una certa attività contro COVID-19. Il primo studio clinico randomizzato con lopinavir / ritonavir non ha dimostrato alcun beneficio rispetto alle cure standard in 199 adulti ricoverati con COVID-19 grave [10]. Non ci sono prove a supporto dell’uso di altri inibitori della proteasi; in effetti, l’analisi strutturale non dimostra alcun legame con darunavir nella proteasi COVID-19.

Truvada e idrossiclorochina come PrEP

Nonostante la mancanza di dati in vitro a supporto dell’attività antivirale di TDF / FTC contro CoV-2 [11], e solo prove di docking molecolare [12], che potrebbero non essere predittive dell’attività di legame limitata [13], è previsto uno studio randomizzato di fase 3 controllato con placebo in Spagna che utilizza la combinazione HIV PrEP TDF / FTC e idrossiclorochina a basso dosaggio (HCQ) come profilassi per COVID-19 negli operatori sanitari [14]. L’osservazione delle infezioni da COVID-19 in pazienti HIV con TDF o TAF conferma una protezione incompleta di questi agenti. I risultati della sperimentazione faranno luce sull’utilità di questa strategia.

Attualmente non sono disponibili prove per giustificare il passaggio di una persona HIV+ dalla normale terapia antiretrovirale. Inoltre, non ci sono prove a supporto delle persone sieropositive che assumono antiretrovirali al di fuori del contesto della profilassi pre-esposizione (PrEP) per prevenire l’acquisizione dell’HIV. La PrEP deve essere assunta come indicato e non ci sono prove che sia efficace contro COVID-19.

Una recente serie di casi sull’idroclorochina, con o senza azitromicina, non è stata in grado di dimostrare un chiaro beneficio clinico, nonostante l’inibizione in vitro della SARS-CoV-2, a causa di problemi metodologici [15]; sebbene lo stesso gruppo abbia postulato un vantaggio nel controllo delle infezioni di una più rapida clearance virale, per il confronto mancava il braccio di controllo [16]. Un piccolo RCT ha dimostrato la tendenza a ridurre i tempi di recupero clinico e il miglioramento radiologico a breve termine dell’idrossiclorochina [17], sebbene un altro non abbia mostrato alcun beneficio in termini di clearance virale, endpoint clinici o radiologici [18]. Nonostante nessuna infezione virale acuta è mai stata trattata con successo con nessuno dei due prodotti [19], FDA ha emesso un’autorizzazione all’uso di emergenza per consentire l’uso di idrossiclorochina e clorochina per alcuni pazienti ricoverati con COVID-19 [20], in attesa di risultati da studi randomizzati. Intanto sono stati pubblicati i risultati di un’analisi retrospettiva dei dati di pazienti con infezione SARSCoV-2 in tutti i centri medici della Veterans Health Administration degli Stati Uniti che non hanno trovato prove che l’uso dell’idrossiclorochina, con o senza azitromicina, abbia ridotto il rischio di ventilazione meccanica in pazienti ricoverati e riscontra un aumento della mortalità complessiva in pazienti trattati con la sola idrossiclorochina [21]. Di conseguenza FDA mette in guardia contro l’uso di idrossiclorochina o clorochina per COVID-19 al di fuori del contesto ospedaliero o di studio clinico a causa del rischio di aritmia cardiaca.

Remdesivir

Un altro potenziale candidato per il trattamento è il Remdesivir, originariamente sviluppato per la terapia con Ebola. Ha un’ampia attività antivirale in vitro contro SARS-CoV-2 [22]. I primi casi del programma di accesso allargato hanno suggerito un potenziale beneficio clinico [23, 24]. Remdesivir è stato interrotto precocemente in 18 (12%) pazienti a causa di effetti avversi, rispetto a 4 (5%) nel gruppo di controllo [24]. La patologia avanzata del paziente potrebbe limitarne l’efficacia. Dati preliminari su remdesivir sono stati presentati di recente in un comunicato stampa NIAID (ACTT), in cui 1063 pazienti ospedalizzati con COVID-19 avanzato e coinvolgimento polmonare randomizzati a Remdesivir si sono ripresi più rapidamente rispetto a pazienti che hanno ricevuto placebo [25 ]. In particolare, il tempo mediano al recupero è stato di 11 giorni per i pazienti trattati con remdesivir rispetto a 15 giorni per coloro che hanno ricevuto placebo. I risultati hanno anche suggerito un beneficio in termini di sopravvivenza, con un tasso di mortalità dell’8,0% per il gruppo trattato con remdesivir rispetto all’11,6% per il gruppo placebo (p = 0,059) [25]. Nel frattempo, Gilead ha anche riportato i risultati dello studio SIMPLE in fase avanzata, dimostrando che una durata di remdesivir di cinque giorni da “un miglioramento dello stato clinico” come il trattamento di 10 giorni valutato nello studio NIAID.

Riferimenti:

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Härter G et al. Infezione (inviata).

Guo W, Ming F, Dong Y et al. Un sondaggio per COVID-19 tra i pazienti affetti da HIV / AIDS in due distretti di Wuhan, Cina. Documento di ricerca prestampato, The Lancet, 2020.

Zeng L, et al. Infezione neonatale a esordio precoce con SARS-CoV-2 in 33 neonati nati da madri con COVID-19 a Wuhan, Cina. JAMA Pediatr 2020; DOI: 10.1001 / jamapediatrics.2020.0878.

Alzamora MC, Paredes T, Caceres D, Webb CM, Valdez LM, La Rosa M. Grave COVID-19 durante la gravidanza e la possibile trasmissione verticale. Am J Perinatol. 2020 aprile 18. doi: 10.1055 / s-0040-1710050. [Epub prima della stampa]

Zamaniyan M, Ebadi A, Aghajanpoor Mir S, Rahmani Z, Haghshenas M, Azizi S. Parto pretermine in donna incinta con polmonite critica COVID-19 e trasmissione verticale. Prenat Diagn. 2020 Apr 17. doi: 10.1002 / pd.5713. [Epub prima della stampa]

www.rki.de

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Cao B, Wang Y, Wen D et al. Una prova di Lopinavir-Ritonavir negli adulti ricoverati in ospedale con grave Covid-19. N Engl J Med 2020; doi: 10.1056 / NEJMoa2001282.

Choy KT, Wong AY, Kaewpreedee P et al. Remdesivir, lopinavir, emetina e omoharringtonine inibiscono la replicazione della SARS-CoV-2 in vitro. Res. Antivirale 3 aprile 2020; 178: 104786. doi: 10.1016 / j.antiviral.2020.104786.

Wu C, Liu Y, Yang Y et al. Analisi di obiettivi terapeutici per SARS-CoV-2 e scoperta di potenziali farmaci con metodi computazionali. Acta Pharm Sin B. 2020, 27 febbraio. Doi: 10.1016 / j.apsb.2020.02.008

https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2020.03.18.997585v1; accesso 26 aprile 2020

https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04334928; accesso 26 aprile 2020

Gautret P et al. Effetto clinico e microbiologico di una combinazione di idrossiclorochina e azitromicina in 80 pazienti COVID-19 con un follow-up di almeno sei giorni: uno studio osservazionale. Int J Antimicrob Agents. 20 marzo 2020: 105949. doi: 10.1016 / j.ijantimicag.2020.105949.

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Chen Z, Hu J, Zhang Z et al. Efficacia dell’idrossiclorochina nei pazienti con COVID-19: risultati di uno studio clinico randomizzato. medRxiv 2020.03.22.20040758; doi: https://doi.org/10.1101/2020.03.22.20040758

Chen J, Liu D, Li L et al. Uno studio pilota sull’idrossiclorochina nel trattamento di pazienti con coronavirus comune-19 (COVID-19). J Zhejiang Univ. 2020; Mar. (DOI 10.3785 / j.issn. 1008-9292.2020.03.03

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https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/coronavirus-covid-19-update-daily-roundup-march-30-2020; consultato il 21 marzo 2020

Magagnoli m et al. medRxiv preprint doi: ttps: //doi.org/10.1101/2020.04.16.20065920

Wang M, et al. Remdesivir e clorochina inibiscono efficacemente il nuovo coronavirus (2019-nCoV) recentemente emerso in vitro. Cell Res. 2020 marzo; 30 (3): 269-271.

Grein J, Ohmagari N, Shin D, et al. Uso compassionevole di Remdesivir per pazienti con Covid-19 grave. N Engl J Med. 2020 10 aprile doi: 10.1056 / NEJMoa2007016. [Epub prima della stampa]

Wang Y, Zhang D, Du G, et al. Remdesivir negli adulti con COVID-19 grave: uno studio multicentrico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo. Lancet 2020; Pubblicato online il 29 aprile 2020

https://www.niaid.nih.gov/news-events/nih-clinical-trial-shows-remdesivir-accelerates-recovery-advanced-covid-19

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25 Aprile – World Malaria Day – L’impegno globale e regionale per la malaria

23 Aprile 2020 by Lila Catania

Nel 2018, sono stati stimati 228 milioni di casi di malaria in 89 paesi. Nel periodo 2014-2018 i casi di malaria non si sono ridotti significativamente. Il numero stimato dei decessi per malaria, nel 2018, è stato di 405.000, e non è stato inferiore a quello dell’anno precedente.

L’Africa, nel 2018, ha avuto il 93% dei casi di malaria e il 94% dei decessi. Più della metà di tutti i casi si sono registrati in 6 paesi: Nigeria (25% dei casi); Repubblica Democratica del Congo (12%); Uganda (5%); così come la Costa d’Avorio, il Mozambico e il Niger (4% ciascuno).

Obiettivi e finanziamenti globali

Alla luce dei dati e delle tendenze recenti, i due obiettivi della strategia tecnica globale dell’OMS per la malaria per gli anni 2016-2030 – ridurre l’incidenza dei casi di malaria e i tassi di mortalità di almeno il 40% entro il 2020 – non verranno raggiunti. Di conseguenza non verrà raggiunto anche l’obiettivo specifico della malaria, che prevede la fine della malaria in tutto il mondo entro il 2030.

Nel 2018, il finanziamento totale stimato per il controllo e l’eliminazione della malaria è stato di 2,7 miliardi di dollari, cifra molto inferiore all’obiettivo di finanziamento di 5 miliardi di dollari. Quasi il 70% del finanziamento della malaria proviene da fonti internazionali. I governi dei paesi dove la malaria è endemica hanno contribuito per circa il 30% al finanziamento totale.

Lacune nell’accesso agli interventi chiave

L’ultimo rapporto sulla malaria evidenzia importanti lacune di copertura nell’accesso ai principali strumenti di prevenzione diagnosi e cura in particolare nei paesi del mondo dove la malaria è più diffusa.

Nel 2018, solo la metà (50%) della popolazione a rischio di malaria in Africa ha dormito sotto una rete trattata con insetticidi; solamente il 60% delle donne in gravidanza in Africa ha ricevuto le dosi raccomandate di terapia preventiva per la malaria; nel periodo 2015-2018, un’alta percentuale (36%) di bambini nell’Africa sub-sahariana che mostravano segni di febbre non ha ricevuto cure mediche.

“Elevato onere ad alto impatto”

In risposta ai dati e alle tendenze recenti, l’OMS in partenariato con RBM (Rolling Back Malaria), per porre fine alla malaria hanno elaborato un nuovo approccio per intensificare il sostegno ai paesi che presentano un elevato carico di malaria. L’approccio si basa su quattro pilastri:

Volontà politica di ridurre i decessi per malaria

Informazioni strategiche per stimolare l’impatto

Migliore guida, politiche e strategie

Una risposta nazionale coordinata sulla malaria

Il primo pilastro invita i leader dei paesi colpiti dalla malaria a tradurre i loro impegni politici dichiarati in risorse e azioni tangibili che salveranno più vite. A tal fine, campagne che coinvolgono comunità e opinion leader sono necessarie per responsabilizzare e far agire i governi.

Le campagne debbono coinvolgere tutti i membri della società: leader politici che controllano le decisioni politiche del governo e budget; aziende del settore privato che beneficeranno di una forza lavoro libera dalla malaria; e le comunità colpite dalla malaria.

Segni di speranza

Mentre i progressi nella risposta globale alla malaria si sono stabilizzati, un sottogruppo di paesi con un basso carico di malaria si sta muovendo rapidamente verso l’eliminazione.

Nel 2018:

49 paesi hanno riferito di meno di 10.000 casi di malaria indigena, rispetto a 40 paesi nel 2010; 27 paesi hanno riportato meno di 100 casi di malaria, rispetto a 17 paesi nel 2010.

I paesi che raggiungono almeno 3 anni consecutivi di zero casi indigeni possono richiedere una certificazione ufficiale dell’OMS per l’eliminazione della malaria. Nel 2019, 2 paesi sono stati certificati senza malaria: Algeria e Argentina. A livello globale, un totale di 38 paesi e territori hanno raggiunto questo traguardo.

L’India, un paese che sostiene il 3% del carico globale di malaria, ha registrato 2,6 milioni di casi in meno nel 2018 rispetto all’anno precedente.

L’Uganda ha segnalato, nel 2018, 1,5 milioni di casi in meno rispetto al 2017.

Prospettive per nuovi interventi

Promuovere gli investimenti nello sviluppo di una nuova generazione di strumenti per la malaria è la chiave per raggiungere gli obiettivi globali della malaria del 2030. I futuri progressi nella lotta contro la malaria saranno probabilmente modellati dai progressi tecnologici e dalle innovazioni nei nuovi strumenti, come la nuova diagnostica e le medicine antimalariche più efficaci.

Controllo vettoriale

Numerosi nuovi strumenti e tecnologie per il controllo dei vettori della malaria sono stati sottoposti all’OMS per la valutazione. Se questi strumenti dimostrano efficacia nel controllo della malattia, l’OMS formulerà nuove raccomandazioni o modificherà quelle esistenti per supportare il loro utilizzo nei paesi colpiti dalla malaria. Gli strumenti attualmente in fase di valutazione includono, ad esempio, nuovi tipi di reti trattate con insetticidi, repellenti per zanzare spaziali, trappole vettoriali, approcci di trasmissione genica e esche per zucchero progettate per attirare e uccidere le zanzare Anopheles.

 

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Il coronavirus e l’HIV: pandemie diverse ma stessa lezione, di Scott Wiener. Pubblicato su BuzzFeed il 27 marzo 2020.

3 Aprile 2020 by Lila Catania

A molti di noi che sono stati in prima linea nella pandemia dell’HIV per decenni, l’emergere e l’esplodere del nuovo coronavirus hanno fatto tornare alla mente altri tempi.

Come omosessuale, che ha iniziato a fare sesso nel 1987 a diciassettenne anni – quando molte persone morivano di AIDS, infezione per cui non esisteva un trattamento efficace – e che ha iniziato l’attivismo in difesa dei diritti delle persone che vivevano con HIV nel 1990 come volontario di una hotline per l’AIDS in North Carolina, la diffusione del coronavirus ha riportato alla luce ricordi oscuri.

Abbiamo già avuto a che fare con un virus che ha ucciso milioni di persone e ne ha fatto ammalare molte altre, giusto?

Sì e no. L’HIV e il nuovo coronavirus sono entrambi altamente distruttivi, con conseguenze umane enormi e tragiche. Ma ovviamente sono anche molto diversi nel modo in cui si diffondono, nelle opzioni di trattamento e recupero e nel modo in cui danneggiano le persone. Ma nonostante le loro differenze, ogni virus ci ricorda alcune verità sorprendentemente simili.

Primo fra tutti: la risposta precoce a una pandemia o la sua mancanza di risposta determina il percorso della pandemia.

Quando l’HIV è apparso nei primi anni ’80, il governo americano non agì molto rapidamente. Poiché il virus sembrava colpire solo i gay e le persone che facevano uso di sostanze per via endovenosa, la risposta fu al limite dell’inesistente. Il presidente Ronald Reagan non ha nemmeno detto le parole “HIV” o “AIDS” fino alla fine degli anni ’80, dopo che il virus si era diffuso. Se il governo federale fosse intervenuto in modo decisivo con strategie di sanità pubblica e cure efficaci, molte vite sarebbero state salvate. Avremmo avuto la possibilità di agire per impedire all’HIV di diventare una pandemia mondiale che, ad oggi, ha infettato 75 milioni di persone e ucciso 32 milioni.

Se la risposta nazionale al coronavirus negli Stati Uniti è stata tutt’altro che ideale – in particolare la mancanza di test e le dichiarazioni ignoranti del presidente Donald Trump che negano la pandemia – ​​altri stati hanno agito in maniera aggressiva per far rispettare il distanziamento sociale e hanno investito rapidamente enormi risorse per sperimentare trattamenti e ricercare un vaccino.

Stiamo apprendendo che i governi hanno molte più probabilità di rispondere in modo aggressivo a una pandemia che infetta la società “tradizionale” e non solo i gruppi emarginati.

Quindi, perché la risposta del governo al coronavirus, sebbene non abbastanza veloce, invece della risposta lenta e distruttiva all’HIV? È semplice: COVID-19 minaccia tutti, compresi i ricchi, i bianchi, i potenti e le persone eterosessuali. L’HIV ha avuto un impatto schiacciante sugli uomini gay e bisessuali, le persone trans, le persone di colore a basso reddito, le persone che usano droghe e le persone provenienti da paesi poveri.

Infatti, il Congresso aumentò i finanziamenti per la pandemia quando Ryan White, un bambino diventato sieropositivo all’HIV dopo una trasfusione di sangue, parlò, eroicamente, in pubblico della sua infezione.

Quando le pandemie colpiscono in modo schiacciante le comunità emarginate, vengono ignorate. E questo può significare che 32 milioni di persone muoiono. Quando i problemi hanno un impatto sui ricchi e sui potenti, entriamo in azione, anche se ciò significa chiudere gran parte dell’economia e spendere più di un trilione di dollari.

Lo stesso non fu  possibile per le persone che vivevano con l’HIV. Così tanti sono morti in silenzio, con poco o nessun supporto medico e/o del governo.

Tuttavia, ci sono anche cose meravigliose da imparare dal modo in cui le nostre comunità hanno reagito alle pandemie, sia che si tratti dell’HIV o del coronavirus. In ogni caso, abbiamo visto il meglio che le persone hanno da offrire.

Le persone diventano più pro-scienza. Questo era vero quando la pandemia di HIV era al suo apice. E dovrebbe essere vero oggi. In un’era in cui, il negazionismo della validità dei vaccini è in aumento, le infrastrutture della sanità pubblica sono state distrutte e il nostro governo federale ha sostanzialmente abbandonato i seri sforzi per pianificare le pandemie, siamo a grave rischio. Il coronavirus, con tutto il dolore che sta causando, sta aiutando a costruire il supporto per migliore le infrastrutture di salute pubblica.

Stiamo già assistendo a un’ampia risposta della comunità. Le persone vigilano sui loro vicini anziani. Le persone, data la carenza, raccolgono maschere e altri dispositivi di protezione. Le aziende producono volontariamente maschere e ventilatori. Stiamo assistendo a importanti auto-organizzazioni per aiutare i membri della nostra comunità più vulnerabili. E, naturalmente, gli eroi nel nostro sistema sanitario – infermieri, medici, altri operatori sanitari, operatori delle case di cura – si mettono a rischio, spesso senza adeguati dispositivi di protezione, per senso del dovere. Allo stesso modo, i della droghi lavoratori dei supermercati e della farmacia, nonché gli addetti alle consegne, si stanno mettendo a rischio per garantire che le persone abbiano accesso a cibo e medicine.

La pandemia HIV ha vissuto una altrettanto stimolante risposta della comunità. Mentre il governo federale ignorava la pandemia, per gran parte degli anni ’80, alcune città entrarono in azione. San Francisco ha dedicato risorse indicibili per combattere la diffusione del virus. La nostra città ha costruito un’enorme infrastruttura di sanità pubblica per prevenire le infezioni e migliorare l’assistenza. San Francisco ha il miglior dipartimento di sanità pubblica della nazione – forse del mondo – e parte del motivo è la nostra incredibile risposta alla pandemia di HIV.

“La mia iper-vigilanza è integrata, come abbiamo imparato durante la crisi dell’HIV”, ha dichiarato il Dr. Grant Colfax, attuale direttore della sanità pubblica di San Francisco, al San Francisco Chronicle. “Sono necessarie azioni precoci e rapide, in molti chiedono retroattivamente perché non è stata intrapreso un’azione rapida aggressiva”.

Allo stesso modo, San Francisco ha creato una rete altamente efficace di organizzazioni per combattere l’HIV. Queste organizzazioni no profit hanno costituito una potente rete di sicurezza che si prende cura delle persone. Per decenni, queste organizzazioni non profit hanno svolto un ruolo essenziale nel riuscito sforzo di San Francisco di ridurre le nuove infezioni (cosa che ha fatto, di oltre il 95%), per avvicinare le persone che vivono con l’HIV alle cure (la nostra città ha uno dei più tassi di soppressione virale del mondo) e per attuare strategie di sanità pubblica all’avanguardia, progressiste e lungimiranti che sono diventate modello da copiare e implementare in tutto il mondo.

Le pandemie possono far emergere il meglio e il peggio dell’umanità. Mostrano le linee di frattura e le disuguaglianze, oltre a mostrare la resilienza della comunità.

Passiamo insieme questa pandemia e costruiamo un futuro migliore.

Scott Wiener è un politico Democratico americano, membro del Senato dello Stato della California e attivista per i diritti LGBTQ.

Nel 2017, ha fatto approvare la legge per la riduzione della pena per aver esposto qualcuno all’HIV a sua insaputa e senza il consenso, e la legge per garantire i diritti agli anziani LGBT che vivono in strutture di assistenza a lungo termine .

Nel 2018, ha fatto approvare la legge per creare una terza opzione di genere non binaria sui documenti governativi.

 

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Guardiamo insieme e osserviamo le norme e le precisazioni del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità sul coronavirus

17 Marzo 2020 by Lila Catania

Il nuovo Coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto* con una persona malata.

La via primaria di infezione è data dalle goccioline del respiro diffuse nell’aria delle persone affette dall’infezione ad esempio tramite:

  • la saliva, tossendo e starnutendo;
    • è importante perciò che le persone, quando tossiscono o starnutiscono, applichino misure di igiene quali starnutire o tossire in un fazzoletto o con il gomito flesso e gettare i fazzoletti utilizzati in un cestino chiuso immediatamente dopo l’uso e lavare le mani frequentemente con acqua e sapone o usando soluzioni alcoliche;
  • le mani, ad esempio toccando, con le mani che si sono contaminate dalle goccioline (non ancora lavate), bocca, naso o occhi;
    • è importante perciò che le persone, lavino le mani frequentemente con acqua e sapone o usando soluzioni alcoliche.

Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione. Le mani vanno lavate spesso e accuratamente con acqua e sapone per almeno 60 secondi. Se non sono disponibili acqua e sapone, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcool (concentrazione di alcool di almeno il 60%).

  • Le informazioni preliminari suggeriscono che il virus possa sopravvivere all’esterno dell’organismo alcune ore.
    • L’utilizzo di semplici disinfettanti è in grado di uccidere il virus annullando la sua capacità di infettare le persone, per esempio disinfettanti contenenti alcol (etanolo) al 75% o a base di cloro all’1% (candeggina).
  • Ricorda di disinfettare sempre gli oggetti che usi frequentemente (il tuo telefono cellulare, gli auricolari o un microfono) con un panno inumidito con prodotti a base di alcol o candeggina (tenendo conto delle indicazioni fornite dal produttore).

Proteggiamoci utilizzando le seguenti misure di difesa personale:

  • restare a casa, uscire di casa solo per esigenze lavorative, motivi di salute e necessità;
  • lavarsi spesso le mani;
  • evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute;
  • evitare abbracci e strette di mano;
  • mantenimento, nei contatti sociali, di una distanza interpersonale di almeno un metro;
  • igiene respiratoria (starnutire e/o tossire in un fazzoletto evitando il contatto delle mani con le secrezioni respiratorie);
  • evitare l’uso promiscuo di bottiglie e bicchieri;
  • non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani;
  • coprirsi bocca e naso se si starnutisce o tossisce;
  • non prendere farmaci antivirali e antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico;
  • pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol;
  • usare la mascherina solo se si sospetta di essere malati o se si presta assistenza a persone malate. Ecco come fare:
    1. prima di indossare la mascherina, lavati le mani con acqua e sapone o con una soluzione alcolica
    2. copri bocca e naso con la mascherina assicurandoti che sia integra e che aderisca bene al volto
    3. evita di toccare la mascherina mentre la indossi, se la tocchi, lavati le mani
    4. quando diventa umida, sostituiscila con una nuova e non riutilizzarla; in quanto maschere mono-uso
    5. togli la mascherina prendendola dall’elastico e non toccare la parte anteriore della mascherina; gettala immediatamente in un sacchetto chiuso e lavati le mani.
  • bisogna fare attenzione ai seguenti sintomi: febbre e sintomi simili a quelli influenzali come tosse, mal di gola, respiro corto, dolore ai muscoli, stanchezza.

  • quando compaiono questi sintomi non bisogna andare al pronto soccorso o dal medico di famiglia, ma bisogna restare in casa e chiamare il medico di famiglia, il pediatra o la guardia medica.
  • se si andasse al pronto soccorso o in un ambulatorio senza prima averlo concordato con il medico si potrebbe rischiare di contagiare altre persone o essere di contagiati da altre persone.
  • appena si avvertono i sintomi bisogna chiamare il medico di famiglia e spiegare i sintomi e informare gli eventuali contatti a rischio. Se non si riesce a contattare il medico di famiglia, bisogna chiamare uno dei numeri di emergenza indicati sul sito www.salute.gov.it/nuovocoronavirus
  • se si dovesse pensare di essere infetto sarebbe bene indossare una mascherina chirurgica, restare a distanza dai familiari e disinfettare spesso gli oggetti di uso comune, lavare regolarmente le mani con acqua e sapone o con un gel a base alcolica e aerare e mantenere pulito l’ambiente.
  • se il medico dovesse ritenere che sia necessario effettuare un test per coronavirus fornirà indicazioni su come procedere (i test vengono eseguiti unicamente in laboratori del Servizio Sanitario Nazionale selezionati).

La probabilità che una persona infetta contamini le merci è bassa e che anche il rischio di contrarre il nuovo virus da un pacco che è stato esposto a condizioni e temperature diverse è basso.

Alcune persone si infettano ma non sviluppano alcun sintomo. Generalmente i sintomi sono lievi, soprattutto nei bambini e nei giovani adulti, e a inizio lento.

*Si definisce contatto stretto:

  • una persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19;
  • una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (per esempio la stretta di mano);
  • una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati);
  • una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti;
  • una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso di COVID-19 per almeno 15 minuti, a distanza minore di 2 metri;
  • un operatore sanitario od altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso di COVID19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso di COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei;
  • una persona che abbia viaggiato seduta in aereo nei due posti adiacenti, in qualsiasi direzione, di un caso di COVID-19, i compagni di viaggio o le persone addette all’assistenza e i membri dell’equipaggio addetti alla sezione dell’aereo dove il caso indice era seduto (qualora il caso indice abbia una sintomatologia grave od abbia effettuato spostamenti all’interno dell’aereo, determinando una maggiore esposizione dei passeggeri, considerare come contatti stretti tutti i passeggeri seduti nella stessa sezione dell’aereo o in tutto l’aereo).
  • Il collegamento epidemiologico può essere avvenuto entro un periodo di 14 giorni prima o dopo la manifestazione della malattia nel caso in esame.

Gli operatori sanitari possono essere a rischio perchè entrano in contatto con i pazienti più spesso di quanto non faccia la popolazione generale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda che gli operatori sanitari applichino adeguate misure di prevenzione e controllo delle infezioni in generale e delle infezioni respiratorie, in particolare.

 

 

I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS).

I Coronavirus sono noti per infettare l’uomo ed alcuni animali (inclusi uccelli e mammiferi). Le cellule bersaglio primarie sono quelle epiteliali del tratto respiratorio e gastrointestinale.

Ad oggi, sette Coronavirus hanno dimostrato di essere in grado di infettare l’uomo: HCoV-OC43, HCoV-HKU1 (Betacoronavirus), HCoV-229E, HCoV-NL63 (Alphacoronavirus) (possono causare raffreddori comuni ma anche gravi infezioni del tratto respiratorio inferiore) e SARS-CoV, MERS-CoV e 2019-nCoV (SARS-CoV-2) (Betacoronavirus).

Il virus che causa l’attuale epidemia di coronavirus è stato chiamato “Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2”.

La malattia provocata dal nuovo Coronavirus ha un nome: “COVID-19” (dove “CO” sta per corona, “VI” per virus, “D” per disease (malattia) e “19” indica l’anno in cui si è manifestata).

Per saperne di più:

Il Ministero della Salute ha realizzato un sito dedicato: www.salute.gov.it/nuovocoronavirus.

Le Regioni hanno attivato numeri verdi locali per rispondere alle numerose richieste di cittadini.

I dati sull’andamento dell’epidemia sono pubblicati nelle pagine dedicate Situazione in Italia e Situazione nel mondo del sito del Ministero.

Chi viaggia all’estero può trovare utili informazioni nel sito Viaggiare sicuri del Ministero degli Affari Esteri

Altre informazioni sul sito Epicentro dell’Istituto superiore di sanità – Epicentro.

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E’ il momento di cominciare a riflettere sulle emergenze.

11 Marzo 2020 by Lila Catania

La LILA Catania, coerentemente con quanto decretato dal governo, ha bloccato tutte le attività di volontariato aperte alla popolazione. Nell’ottica, con questa scelta, di contribuire a fermare la diffusione del Covid-19.

E’, però, importante ragionare sull’emergenza che si è determinata in Italia, tanto da farne una grande, unica, “zona rossa”.

I “numeri” che conosciamo, pur nella loro drammaticità, non devono farci dimenticare altre epidemie, per esempio le influenze stagionali, che hanno determinato negli anni passati migliaia e migliaia di decessi. La novità del Covid-19, sicuramente capace di una diffusione veloce, sta, però, nel fatto che se l’epidemia procede con i ritmi attuali, la sanità pubblica italiana (l’unica in prima fila, visto che quella privata è sostanzialmente assente, essendo peraltro abituata a usare per le emergenze le strutture pubbliche), in particolare i centri di terapia intensiva, rischia il collasso. Con conseguenti danni irreparabili sia per quanti sono colpiti dal virus, sia per tutti gli altri pazienti.

La domanda diventa, quindi, perché in tutti questi anni è stato impoverito/ridimensionato il servizio pubblico, riducendo progressivamente le risorse investite. Non è difficile capire che tali scelte rendono più difficile la gestione di situazioni particolari, epidemie, terremoti, guerre, migrazioni. Perché ancora oggi, con il processo di regionalizzazione, se ne vuole rimettere in discussione il carattere nazionale? Perché non si comprende che la spesa per macchinari per il supporto respiratorio ed intensivo in generale si fa una volta, ma arricchisce le capacità di supporto nelle necessità?

Perché non si comprende che se si procede alimentando stigmi e paure, come nel passato è avvenuto per l’infezione da HIV, diventiamo tutti meno sicuri? Che se fino a ieri si è fatto poco e nulla per sviluppare politiche di solidarietà, accoglienza e condivisione è più difficile, oggi, appellarsi al senso civico.

Ma è anche è importante interrogarsi sul comportamento non del tutto coerente di governo e regioni. Prima dell’ultimo decreto, nonostante la chiusura delle scuole e delle università, erano rimaste aperte (tranne in Lombardia e in alcune province) tutte le altre attività ludico-relazionali. Questa contraddizione ha prodotto ciò che ex post è stato evidente a tutti: l’esplosione della cosiddetta movida, con i rischi conseguenti. Non era difficile ipotizzare che i ragazzi, avendo minori impegni e più tempo libero, avrebbero ampliato le loro occasioni di contatto.

Non dobbiamo, infine, rimanere indifferenti rispetto a ciò che sta accadendo nelle carceri, da sempre sovraffollate e che non garantiscono sicurezza e incolumità per i detenuti. Essere “ristretti” non significa non avere diritti.

In conclusione, diamo tutto il nostro contributo per fermare la diffusione dell’epidemia perché vogliamo un futuro migliore per tutti, ma senza rinunciare a ragionare. Soprattutto, perché riteniamo fondamentale evitare che, come avvenuto in casi precedenti (dagli allarmi HIV, alla Sars, alla influenza H1N1), finita l’emergenza non cambi nulla.

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Progetto “Attenti alla Fragilità 2018” – Relazione finale

11 Febbraio 2020 by Lila Catania

Relazione Narrativa

Obiettivi: Obiettivo generale del progetto è supportare tutte le persone che si trovano in situazioni di fragilità ed emarginazione attraverso la facilitazione dell’accesso alle strutture socio-sanitarie di prevenzione e cura.

A tal fine, obiettivi specifici sono stati:

  • Mappatura dei servizi pubblici e del privato sociale dedicati alla tipologia di beneficiari presi in considerazione dal progetto ed il consolidamento delle relazioni con tali enti mediante incontri ed eventi formativi;
  • Attività di Sportello di Segretariato Sociale presso la sede della nostra associazione per tutte le persone che vivono situazioni diverse di “fragilità” e necessitano di assistenza socio-sanitaria;
  • Interventi mirati alla prevenzione, informazione e pubblicizzazione del Progetto “Attenti alla Fragilità 2018” avviati in zone ad alta densità di marginalità sociale, come nell’emblematico quartiere storico di San Berillo;
  • Proseguimento della ricerca in ambito sociologico sulla marginalità sociale, già avviata nella prima annualità del progetto, mediante la somministrazione di un questionario/intervista agli operatori del settore di interesse del progetto.

 Beneficiari: Nell’ottica della tutela del diritto alla salute, il progetto supporta tutte le persone che si trovano in situazioni diverse di fragilità: le persone con infezione da HIV e tutte le persone che vivono in situazione di rischio e di marginalità sociale.

Nell’ambito delle attività progettuali sono state attuate diverse azioni indipendenti e complementari per giungere agli obiettivi precedentemente sintetizzati:

  1. Al fine di consolidare la “Rete” con i servizi presenti nel territorio per collaborare proficuamente nell’approccio alle persone fragili e rispondere al meglio ai diversi bisogni espressi dai beneficiari del progetto sono stati effettuati diversi incontri di presentazione del progetto “Attenti alla Fragilità 2018” e di pianificazione delle modalità di collaborazione con i principali servizi pubblici e del privato sociale. Data la complessa burocrazia e alcune iniziali probabili resistenze, è stato complesso e difficoltoso ottenere i permessi per incontrare gli operatori dei servizi pubblici; come soluzione abbiamo scelto di perpetrare con le nostre sollecitazioni ed al contempo di invitare gli enti ad iniziative e seminari organizzati dalla nostra associazione. La nostra perseveranza ci ha ripagato e abbiamo ottenuto gli incontri con i responsabili dei Servizi Sociali del Comune di Catania, dell’ASP Territoriale e con quelli dell’ufficio Anagrafe. Da questi incontri sono stati conseguiti degli importanti risultati di riconoscimento dell’importanza del servizio a bassa soglia svolto dal progetto e l’autorizzazione formale dei responsabili ad incontrare i diversi operatori per presentare il progetto e somministrare i questionari relativi alla Ricerca; inoltre, l’assessore alle Politiche Sociali ha proposto una futura stipula di un protocollo tra il Comune e le associazioni del terzo settore che si occupano di segretariato sociale in diverse zone di Catania al fine di creare una “rete” virtuosa che sopperisca alle carenze degli interventi comunali, che in questo modo potrebbero essere di secondo accesso. Con i responsabili dell’ufficio Anagrafe, si sta formalizzando un protocollo di intesa che permetterà di aiutare i beneficiari a risolvere in maniera più celere ed efficace problematiche relative alla residenza e, per le persone senza fissa dimora, alla eventuale assegnazione di residenza fittizia in via dell’accoglienza. Con il CAF che si trova vicino alla sede è stata avviata una collaborazione proficua.
  2. Gran parte del lavoro di questi mesi si è concentrato a incontrare le maggiori associazioni private del terzo settore come il Centro Astalli, l’ambulatorio “Catania Salute e Solidarietà” del Rotary Club, gli Avvocati di strada, la Caritas, la Locanda del Buon Samaritano, Penelope, la cooperativa Prospettiva, la cooperativa Il Faro e soprattutto le principali associazioni che già da tempo operano nel quartiere di San Berillo come Sorcio Rosso, Trame di Quartiere ed Officina Rebelde. Il risultato più rilevante è stato l’avvio di una collaborazione reciproca che ha permesso di supportare al meglio i beneficiari del progetto e di ipotizzare comuni approcci alle diverse situazioni di fragilità e marginalità.
  3. Durante gli incontri avuti con le diverse realtà presenti nel territorio si è proceduto anche con la continuazione della Ricerca in ambito sociologico in merito alla marginalità sociale somministrando mediante intervista il questionario a svariati operatori del settore. La rilevazione della percezione e delle opinioni degli operatori ha lo scopo di delineare un quadro d’azione che non trascuri il contesto, evidenziando i punti deboli per i quali poter intervenire.
  4. Oltre alla somministrazione dei questionari, è stata effettuata l’analisi statistica dei dati fin ora raccolti. I dati, ovviamente ancora parziali della ricerca, saranno presentati nella conferenza conclusiva del Progetto “Attenti alla fragilità 2018” che è stata calendarizzata per metà febbraio, presso i locali della Biblioteca Navarria Crifò della Chiesa Valdese di Catania.
  5. Continuazione dell’attività di Sportello di Segretariato Sociale e punto di ascolto per persone “fragili”, che è da 2 anni aperto al pubblico con cadenza settimanale, il mercoledì dalle 16:30 alle 18:30 presso la sede di Lila Catania. La finalità dello sportello è quella di accompagnare l’utente nel suo percorso di autonomia e di empowerment con il sostegno dei Servizi Pubblici e del Terzo Settore con i quali si è istaurata una collaborazione reciproca e proficua. Per l’attività dello sportello è stata di fondamentale importanza il lavoro di Rete effettuato in questo anno con il pubblico e soprattutto con gli enti del terzo settore, che ha avviato un percorso di collaborazione virtuoso. Molti sono stati gli invii reciprochi e gli interventi coordinati tra più servizi e associazioni per il benessere delle persone che si trovano in situazioni diverse di fragilità ed emarginazione. In questa ottica esemplare è stato un intervento di rete tra LILA, Trame di quartiere e SERD che ha permesso di aiutare una persona ad uscire da una situazione di grave marginalità ed intraprendere un percorso terapeutico riabilitativo con l’inserimento in una struttura comunitaria. Dall’inizio del progetto ad oggi sono stati seguiti allo sportello molte persone, sia italiani che stranieri. I bisogni espressi hanno riguardato principalmente bisogni sanitari e assistenziali. La relazione instaurata ha permesso di far emergere anche i bisogni sottostanti alle richieste iniziali, tanto che fin ad ora la maggioranza degli utenti si sono recati al nostro sportello più volte, indice questo di essere diventati per loro un punto di riferimento.
  6. Per dare ulteriore concretezza al servizio di informazione e di ascolto delle esigenze delle persone più fragili, che vivono una quotidiana situazione di marginalità, è stato individuato il quartiere storico di San Berillo come una realtà in cui essere presenti con incontri mirati con le associazioni, gruppi di prossimità e con gruppi mirati della popolazione residente nel quartiere. In questo primo anno, la strategia operativa per comprendere come “agire” sul quartiere è stata quella di incontrare tutte le associazioni che vi operano da diverso tempo e che rappresentano in modo diverso le varie soggettività presenti. Nello specifico abbiamo collaborato con le associazioni Sorcio Rosso, Trame di Quartiere ed Officina Rebelde. Ciò ha permesso a noi operatori di iniziare a farci conoscere dagli abitanti del quartiere e di effettuare degli incontri con l’associazione gambiana e con le personalità più carismatiche del quartiere al fine mettere le basi per un intervento mirato ed efficace. Il 13 luglio si è tenuto il “Pranzo sociale – Facciamo Rete a San Berillo” incontro tra l’Associazione Gambiana, LILA-CT e l’associazione Sorcio Rosso, durante l’incontro è stato presentato il Progetto “Attenti alla Fragilità” ed è stata avviata una discussione con i presenti su salute e benessere, dipendenze e prevenzione delle malattie trasmissibili sessualmente. La stessa comunità gambiana ci ha successivamente invitato a partecipare ad una riunione tenutasi nel quartiere per festeggiare l’anniversario della loro associazione; durante l’incontro partecipato e aperto che si è tenuto nelle strade del quartiere di San Berillo abbiamo discusso delle tematiche di nostra competenza con i partecipanti. Il 31 luglio vi è stato l’incontro tra Lila Catania, Trame di Quartiere e gli abitanti di via delle Finanze. Durante l’incontro sono state accolte alcune necessità espresse dgli abitanti del quartiere di San Berillo. A risultato di questi incontri e della nostra presenza nel quartiere diverse persone si sono rivolte al nostro sportello di segretariato sociale.
  7. Per quanto concerne la valutazione dell’impatto sui beneficiari si mette in evidenza che il numero di persone che si rivolgono allo sportello di Segretariato Sociale è in costante aumento sia per invii da parte delle strutture con cui siamo in Rete sia per un passa parola tra i beneficiari stessi. Da questo dato si evince l’importanza e l’efficienza del nostro servizio. Diversi infatti sono stati gli interventi ben coordinati e andati a buon fine, ovvero casi in cui sono state appagate le richieste espresse ed a volte anche quelle implicite e secondarie. Al contempo, sono stati riscontrati difficoltà in merito ad alcune richieste per le quali non è stato possibile intervenire efficacemente per mancanza di servizi e strutture adeguate presenti nel comune di Catania o per burocrazie molto complesse e lunghe.

Molte delle persone che si sono rivolte allo sportello non hanno fissa dimora, purtroppo attualmente in città vi è solo un dormitorio disponibile (la Locanda del Buon Samaritano) che non riesce ovviamente a supplire alla domanda di chi non ha casa. Al momento non vi sono dormitori comunali, e “Il Faro” è stato chiuso a dicembre. L’attuale amministrazione purtroppo sembra prevedere interventi o soluzioni alternative di contrasto al degrado ed alla marginalità.

Inoltre, in questo anno si è assistito ad un boom di istanze per la residenza fittizia al fine di poter richiedere il reddito di cittadinanza ciò ha intasato e fatto implodere le poche associazioni del terzo settore che solitamente si occupavano delle pratiche e si rendevano disponibili. La conseguenza è che al momento è molto difficile procedere per tale richiesta.

In altri casi si finisce a volte in circoli viziosi, come nel caso di persone che percepiscono il reddito di cittadinanza o di persone straniere che lavorano spesso senza essere messi in regola che non riescono a trovare una casa in affitto e che quindi sono costrette a vivere in situazioni disagiate.

Un capitolo speciale riguarda le burocrazie difficili e lunghe che colpiscono soprattutto le persone straniere, come ad esempio aprire un conto corrente dove poter ricevere il salario.

Le problematiche su esposte dipendono da fattori non correlati al nostro agire, ma ci colpiscono come operatori perché seguire alcuni beneficiari dello sportello a volte diventa complesso e frustrante. Ma il nostro contributo è fondamentale per queste persone, che spesso vivendo ai margini della società, sono disorientate e non conoscono i loro diritti o i servizi Statali di supporto alla povertà.

 

Le soluzioni attuate per contrastare le problematiche su esposte rientrano ancora una volta nel lavoro di rete con le associazioni del terzo settore.  Diversi sono stati gli incontri tra le maggiori associazioni durante i quali si è discusso delle comuni problematiche emerse nel rispondere ai bisogni dei beneficiari. Durante questi importanti incontri di riflessione e confronto su determinati argomenti sono state condivise strategie operative e ipotizzate comuni soluzioni alle diverse situazioni di fragilità e marginalità.

 Divulgazione, visibilità e comunicazione: Il progetto è stato divulgato principalmente mediante incontri stabiliti ad hoc con le realtà del pubblico e del terzo settore, in tali occasioni è stato presentato il progetto ai responsabili ed agli operatoti e somministrato loro il questionario.

Sono stati distribuiti i volantini che sponsorizzano il progetto ed il relativo sportello di segretariato sociale negli enti incontrati, durante iniziative ed eventi organizzati dalla nostra associazione e distribuiti nel quartiere storico di San Berillo.

Inoltre, è stata data visibilità al progetto sulla pagina Facebook e sul Sito web di LILA Catania.

Titolo del progetto: Attenti alla Fragilità 2018

Luogo di realizzazione del progetto: Catania

Ente finanziatore: 8xmille Tavola Valdese

Ente Beneficiario: LILA Catania

 

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