È successo a Catania.
Un operatore sanitario si è visto rifiutare, dopo aver vinto un concorso, l’idoneità al servizio perché risultato sieropositivo al test dell’hiv e questo è bastato per fare aggiungere a penna il “non” davanti a idoneo. Un caso di discriminazione e di un diritto negato, di quello che dovrebbe essere il diritto principe di ogni persona, il lavoro.
Una sentenza del Tribunale gli ha però dato ragione e il posto di lavoro ottenuto tramite pubblico concorso presso l’ASP di Catania gli spetta di diritto .
Proprio per meglio illustrare questa sentenza LILA Catania ha organizzato una conferenza stampa presso la nostra sede di via Finocchiaro Aprile, 160 dove i legali del giovane hanno esposto la vicenda e allora vado, perché voglio saperne di più e voglio scrivere anche io un pezzo sull’accaduto.
La sala in breve si riempie e gli avvocati iniziano a parlare spiegando come grazie ad un’ordinanza provvisoria cautelare urgente la persona in questione viene riemmesso al suo posto di lavoro. Ordinanza d’urgenza che però, a dispetto del nome, si trascina per oltre un anno lasciando di fatto una persona senza stipendio e costretta a lasciarsi aiutare economicamente dai suoi, sostenendo tra l’altro le spese del processo.
“È un atto discriminatorio che non ha alcuna base, godendo il giovane di ottima salute, discriminazione ancora più grave”, dice l’avvocato Giorgianni, “di quella effettuata dal singolo perché questa volta è lo Stato che discrimina quando, al contrario, dovrebbe tutelare i diritti delle persone in genere”.
Il prof. Luciano Nigro, presidente di Lila Catania, sottolinea quanto oggi le cose dovrebbero essere diverse nei rapporti con le persone sieropositive rispetto al passato, di quanto sia difficile trasmettere l’hiv e di come le nuove conoscenze scientifiche ci dicono che una persona con hiv, in terapia e a carica virale azzerata riduca quasi allo zero il rischio di contagio.
Queste cose magari può non conoscerle il semplice cittadino, ma ci si aspetta di sì da parte di funzionari dello Stato, addirittura da un medico in questo caso.
Mentre continuano nella conferenza, li ascolto barcamenandomi tra articoli di leggi e successive revisioni che lì si citano, prendo nota per non dimenticare nulla e scrivere il mio pezzo ma so già che mi perderò poi tra un mare di appunti sparsi e disordinati e già a malincuore vi rinuncio.
Quando ecco all’improvviso che il presidente della LILA di Catania chiede ai giornalisti presenti di non usare da quel momento in poi le macchine fotografiche. Si capisce immediatamente cosa accadrà a breve e infatti subito dopo arriva lui, la persona che tutte quelle leggi, articoli, revisioni e comma citati li ha subiti. È lì davanti a noi e sorride un po’ impacciato, di certo non abituato a delle conferenze stampa (neanche io in realtà)
Noi sieropositivi sappiamo bene cosa significhi venire discriminati. Si è “abituati” a veder scivolare silenziosamente il proprio nome in fondo ad una lista di prenotazioni mediche perché “per sicurezza” (ma di chi?) è meglio che nessun altro venga visitato successivamente”; un sieropositivo sa che è meglio non dire nulla del proprio stato sierologico sul posto di lavoro, non vuole certo avere problemi per la condivisione degli spazi comuni con i colleghi. Un sieropositivo non protesta quasi mai se qualcuno per il suo stato gli riserva un comportamento inadeguato. Non si sa tanto bene perché poi se ne stia sempre zitto, un po’ certo perché non vuole che il fatto si diffonda, ma un po’ forse perché pensa che gli spetti il pacchetto tutto compreso: infezione, virus, terapia e stigma. Lo dice anche il presidente Nigro durante la conferenza: il sieropositivo subisce due discriminazione, quella degli altri e la propria. Come dargli torto?
E allora mi incuriosisce questo giovane uomo che non si è piegato né all’una né all’altra e grazie a lui che posso scrivere anche io il mio pezzo sul caso, scrivo di un sorriso timidamente felice ma soprattutto scrivo dei suoi occhi incredibilmente carichi di quella consapevolezza di aver vinto sì, ma non solo contro il suo datore di lavoro, prima di tutto lui ha vinto contro le sue paure e quelle degli altri. E’ orgoglioso di ciò e ne ha pienamente diritto.
L’avvocato Valentina Riolo, con la tipica sensibilità tutta femminile, ricorda quanto questo non sia stato solo un caso legale ma anche dai risvolti umani, sociali e psicologici.
L’avvocato Michele Giorgianni, un attimo in difficoltà nel trovare un termine adeguato tra malato di hiv, e portatore sano di hiv (non sa come si dice e d’altronde perché dovrebbe saperlo visto che mai nessuno ne parla?) ricordando che più volte è stato scritto che questo caso creerà un precedente in giurisprudenza, ci tiene a dire che si augura che non capitino più di questi episodi. Il prof. Nigro sa bene invece che ce ne saranno ancora degli altri e che purtroppo, così come è accaduto già in passato, non verranno denunciati perché si ha paura per la propria privacy.
In merito a questo punto il mio parere è invece che questo non sia solo un precedente giudiziario ma mi auguro che sia soprattutto un precedente tra le persone che vivono con l’hiv (si dice così in realtà), perché si ricordino che non è detto che si debba sempre accettare di vedere il proprio nome scivolare silenziosamente in fondo ad un foglio prima di eseguire qualsiasi tipo di indagine medica, mi auguro che, ricordandosi anche di questo caso, comincino finalmente a prendere consapevolezza che ai torti e alle ingiustizie si può reagire e a volte si deve, che inizino a denunciare i gravi ma anche i meno gravi episodi di discriminazione perché anche questo serve alla lotta per abbattere lo stigma e quindi alla lotta contro l’AIDS.
Mary
volontaria di Lila Catania
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