Lunedì 15 ottobre 2012 al Cinema King – Rassegna CiaksiLILA 2012
Notti Selvagge (Les Nuits Fauves) di C. Collard
Notti selvagge è il settimo film della rassegna Ciak si LILA 2012, che la nostra associazione ha organizzato insieme al Collettivo “Lupus” degli studenti della Facoltà di Medicina dell’Università di Catania.
È l’unico film di questa rassegna, dedicata soprattutto alle sostanze, che parla di AIDS; in questo film le sostanze fanno da sfondo e compagnia alla diversità ed alla impossibilità di vivere.
È un film controverso, ambientato negli anni ’80, quando di AIDS si moriva ma quando paradossalmente di AIDS si viveva. Oggi le persone affette dall’infezione da HIV non muoiono, ma paradossalmente alcune volte non riescono a vivere e spesso a convivere con l’infezione. Colpa dello stigma e della discriminazione di cui ancora oggi sono vittime le persone affette dall’infezione.
Tratto da un romanzo dello stesso Collard, qui esordiente nel lungometraggio dopo aver diretto alcuni corti e un telefilm, il film è all’insegna di una patologica bulimia, il culto dell’eccesso anche nella recitazione, il narcisismo esibizionista, il gusto dell’ibridazione, evidente anche nel commento musicale dove il rock s’alterna con canti gitani e arabi.
A Parigi, alla metà degli anni ’80, il cineoperatore bisessuale Jean amoreggia con la diciottenne Laura, senza dirle subito di essere sieropositivo, e con il rugbista Samy.
Collard (1957-93) morì di Aids 4 giorni prima che il film vincesse 4 premi César: miglior film, miglior opera prima, migliore promessa (Bohringer) e montaggio.
All’epoca i censori italiani che l’hanno tagliato e proibito ai minori di 18 anni non hanno capito il suo forsennato romanticismo che verso l’epilogo diventa persino edificante nella sua urlata voglia di vita (dal Morandini)
Di seguito trovate alcuni commetti del periodo al film.
(Mauro Conciatori, Zabriskiepoint online). Uno dei film più “tesi e pesi” degli ultimi decenni. Un melò durissimo sulla vita e sulla morte che non si dileggia in inutili dissertazioni ma va sempre al cuore del problema… Al cuore e ai sentimenti che compongono le nostre vite come quelle dei disperati e dissennati protagonisti del film. Dissennati ma che amano anche follemente la vita e in quest’ultimi “respiri” della stessa danno tutto pur di goderne di ogni più piccola sfumatura… Un dramma. Ma anche un inno alla vita. Si… Un inno ad un vita vissuta in fretta e che si vuole “vivere in fretta” perché davanti si ha un “tempo limite” che non da nessuna eternità: lo spauracchio dell’AIDS non congela la vita del protagonista ma lo sprona come non mai ad assaporare ogni più piccola stilla dell’esistenza…
Una malattia che non perdona, almeno nei primi anni ’90, anni in cui fu realizzato il film. Una malattia che non lascia scampo e fa cadere l’essere umano in uno stato catatonico mentale e che porta al lento disfacimento fisico. Una malattia che è lo specchio del nostro secolo, subdola e meschina frutto della promiscuità sessuale e della poca cultura che esiste sul sesso e suoi sui derivati. Ma in Les nuits fauves questo aspetto è messo a latere. La cosa più importante è questo senso disperato, immenso di vivere senza pensare più alle conseguenze. Non farsi “seghe mentali” sul domani ma vivere il presente per quello che è, in ogni modo e ogni luogo. Quindi scevri da pudori, bugie, meschinità.
Un disperato bisogno di “riprendersi” quella vitalità che a lungo ha congelato i sentimenti e le emozioni e se ciò vuol dire vivere al massimo e al limite la vita non fa nulla, ben venga. I “danni collaterali” son nulla in confronto a quello che dietro alla porta ci aspetta…
Il film di Cyrille Collard è un film fatto “di pancia”, con le emozioni che strabordano dalla pellicola come un fiume in piena. Emozioni vere da far apparire il film quasi un docudrama (e in parte lo è anche perché parlano della vita dello stesso Collard, che sarebbe morto subito dopo la fine del film) in tutta la sua durezza e la sua sincerità cruda
Un film unico che ha avuto il coraggio di parlare per primo di uno dei mali del nostro periodo. Ma senza enfasi e senza pudore solo per quello che è questo male terribile… Un grande film (forse sopravvalutato) da non perdere….( http://www.zabriskiepoint.net/node/6881 )
(Vincenzo Patane , A qualcuno piace gay, Editore Babilonia). E’ il primo film sull’Aids girato da un regista colpito dalla malattia. Cyril Collard è morto non molto tempo dopo l’uscita, che ottenne un clamoroso successo di critica e di pubblico; così la sua opera prima (in precedenza aveva girato solo qualche mediometraggio, tra cui il delizioso Alger la blanche) è divenuto il suo testamento artistico. Collard lo sapeva. Per questo ha girato un film fortemente autobiografico, che, per quanto non privo di difetti, sa essere autentico e riesce a coinvolgere con forza emozionalmente lo spettatore. Notti selvagge emoziona perché è duro, a volte persino sgradevole, nella corsa di Jean verso l’autodistruzione; è crudo e freddo quando tratta con distacco e persino tatto l’Aids; è fastidioso nel descrivere le crisi isteriche che attanagliano Laura; è cinico nella scena del primo rapporto con Laura (ma bisogna ricordare che il film è ambientato alla metà degli anni Ottanta quando l’Aids faceva meno paura di ora). Ma sa essere anche poetico, a volte perfino retorico, nel suo urlare l’assurdità del male e nello stesso tempo il desiderio di vivere intensamente la vita fino all’ultimo, come Jean dice alla fine: “Sono vivo. Forse morirò di Aids, ma ora sono dentro la vita”. In realtà non è solo Jean/Cyril, ma tutto il film a grondare di una debordante vitalità (anche se questo non significa che sia naïf, come pure può sembrare ad una visione superficiale): appare fatto in corsa, quasi ansimante, da chi ha fretta ed è ingordo della vita in ogni sua forma e del cinema stesso come mezzo per trasmettere questa vorace energia. E la stessa cinepresa, a volte usata quasi con aggressività, appare scossa da un flusso frenetico, si muove senza posa, come quando racconta – senza dare giudizi ma limitandosi ad osservare – il sesso sui lungosenna, scivolando sui corpi, con un sottofondo di fremiti e mormorii. D’altra parte, è proprio il sesso a scandire ritmicamente i momenti cardine della storia: in Marocco, con Laura, col possente Samy e sui lungosenna, dove raggiunge i suoi momenti più hard e disperati, e dove sembra essere l’unica forza di quei corpi senza identità.
(Alice Burla, Effetto notte online). ” I nati sotto il segno del Sagittario vogliono essere sempre in un posto diverso da quello in cui si trovano”… Dal Marocco a Parigi al Brasile…. Questi i luoghi in cui si sviluppano gli eventi principali. Jean è un operatore cine-televisivo che osserva e registra il mondo attraverso l’occhio della sua videocamera a spalla. Mosso dall’impeto di vivere passioni sempre diverse, con corpi che lo svuotino del suo pieno o riempiano il vuoto che gli resta, egli conosce Laura, una diciassettenne dall’aspetto semplice e tranquillo. Tra loro si stabilisce una strana relazione, che vede alternarsi tenerezza e momenti in cui il sesso raggiunge una tale intensità da far dimenticare alla giovane la malattia che “distrugge” il suo ragazzo.
Jean scopre infatti di avere l’AIDS, ma questo non impedisce a Laura di abbandonarlo; al contrario gli si attacca morbosamente, lo assilla notte e giorno con interminabili telefonate che si esauriscono in conversazioni con la segreteria telefonica. Una storia d’amore atipica e snervante: Jean che non riesce a dedicarsi unicamente alla propria ragazza, quindi a vincere la sua bisessualità, Laura che non accetta di essere una dei/delle tanti partner, che non crede alla doppia faccia dell’amore e alla quale non resta che cedere all’isteria.
Le immagini si susseguono spesso vorticosamente, ritagliate da una macchina da presa che cerca di catturare i protagonisti mentre scappano da un luogo all’altro, mentre si ritirano nella solitudine delle loro stanze o si inseguono tra i sobborghi di una Parigi notturna, squallida e sporca.
Un ritratto della frenesia dell’esistenza, o forse soltanto messa in scena di quella frenesia interiore che prova Jean, così innamorato di una vita che sente lentamente e inevitabilmente sfuggirgli.
” Ed io non riesco a pensare a nient’altro che a me. Sono fatto di pezzi di me stesso buttati qua e là e poi rimessi insieme disordinatamente. A volte mi chiedo chi mi ha contagiato, ma non ce l’ho con nessuno. Vedo solo dei visi confusi, subito rimpiazzati dall’immagine del virus”. Inizialmente non riesce ad accettare la sua malattia, viene continuamente travolto dagli eventi senza essere in grado di prendere decisioni definitive, ma alla fine, un viaggio e un grido catartico, immediatamente spazzato via dal vento in mezzo al deserto, riportano “la quiete dopo la tempesta”. Laura, rimasta immune dal contagio, è riuscita a rifarsi una vita con un altro uomo, mentre Jean si trasferisce in Brasile: l’atmosfera sembra più calma, i colori caldi contrastano quelli freddi delle sequenze parigine, mentre un vento leggero e un silenzio rilassante lasciano spazio ai pensieri del protagonista e alla sua rassegnazione verso quel futuro inevitabile.
Collard ha raccontato l’AIDS senza ricorrere a quei toni mielosi o pietosi che si usano assumere nei confronti del malato, parlando esattamente dal punto di vista della “vittima”: ecco allora che questi toni diventano alcune volte duri e arrabbiati, altre aspri e disperati.
La malattia, quindi, vista dall’occhio del malato. Il mondo (ri)visto da chi non vuole abbandonarlo.
” Sono vivo. Il mondo non è solo una cosa messa là al di fuori di me. Io ne faccio parte, mi è offerto. Forse morirò di AIDS, ma quella non sarà la mia vita. Questa è la mia vita. Sono vivo!”.
Collard sta per morire e proprio per questo si sente urgentemente spinto a portare in scena la sua vita, le sue emozioni e il suo amore per Laura e Samy.
Soltanto alla fine lo spettatore scopre la veridicità del racconto, che Jean è l’alter ego di Collard, che questa storia è la sua storia: da qui lo spiazzamento dell’osservatore che improvvisamente rivisita il tutto con uno sguardo diverso, stupito e velato dalla tragedia.
Non è una novità che il cinema narri il lento percorso del protagonista verso gli inferi, ma Le Notti Selvagge si distingue perché autobiografico, perché autore ed attore coincidono e perché l’immanenza della morte viene suggerita sottilmente senza rimorsi, rimpianti o moralismi.
Un film che può benissimo rientrare tra i “cult” per la sua eccezionalità, per il suo essere contemporaneamente opera prima ed ultima che il regista francese ha potuto realizzare.
Un film che è stato riconosciuto dalla critica con quattro Césars: Miglior Film Francese, Migliore Opera Prima, Miglior Montaggio e Miglior Attrice Protagonista Esordiente (Romane Bohringer). Peccato però che la premiazione abbia avuto luogo quando Collard se ne era andato da appena settantadue.
(http://www.effettonotteonline.com/news/index.php?option=com_content&task=view&id=1017&Itemid=25)
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