Quali sono i motivi che spingono o costringono le persone che diventano vittime di tratta a spostarsi dai loro paesi? Come va trattato questo fenomeno? Cosa si può fare?
Ha cercato di dare delle risposte a queste domande la dottoressa Rosanna Paradiso, esperta in programmi anti-tratta e collaboratrice della Procura di Torino, nella giornata di approfondimento organizzata dalla nostra associazione lo scorso 19 giugno.
La guerra, la repressione da parte di regimi dittatoriali, lo stato di perseguitato per motivi religiosi, la povertà e la disoccupazione sono i principali motivi che spingono le persone a migrare; molte tra queste persone cominciano a subire violenze a partire dai loro paesi nel raggiungimento del loro scopo: emigrare per avere condizioni di vita più umane.
I dati ci dicono che la maggior parte delle persone vittime di tratta e sfruttate sessualmente che raggiungono l’Italia sono principalmente di origine nigeriana, ma non va dimenticata la presenza di vittime da altre nazioni come la Romania, l’Ucraina, la Cina o altre ancora.
Sono ragazze, donne ma anche uomini e omosessuali, questi ultimi spesso già vittime nel loro paese per il solo fatto di avere un orientamento sessuale differente da quello imposto dalla norma.
Oggetto della tratta, afferma la dottoressa Paradiso, non è solo lo sfruttamento sessuale, ma anche la questua, il lavoro forzato, i matrimoni forzati, il commercio di organi e a volte anche il lavoro domestico.
Queste persone, spesso con un livello culturale ed economico basso, non raggiungono quasi mai l’Italia con un percorso regolare o di scelta e apprendiamo, attraverso le parole della dottoressa Paradiso, che spesso sono anche vittime di credenze popolari e/o religiose nelle quali restano intrappolate.
Circostanze, come ci ha fatto notare Paradiso, che possiamo ritrovare anche nelle nostre tradizioni, basti pensare a maghi e fattucchieri che hanno approfittato e approfittano della disperazione o dell’isolamento delle persone per trarne vantaggio economico; cosi in Nigeria la suggestione, l’ignoranza e la povertà rendono possibile l’esistenza di un fenomeno misto alla criminalità che facilita a rende schiave le persone vittime di tratta.
Per le ragazze nigeriane è un rituale dal nome “juju”, che ha origini vodoo. E’ attraverso la minaccia dello juju che queste donne vengono convinte che se non estingueranno il proprio debito in denaro succederà loro qualcosa di malvagio e la maledizione inflitta dagli spiriti le colpirà inesorabilmente. Le somme in denaro chieste a queste persone sono spesso esorbitanti e le vittime non hanno quasi mai idea di quanto alta sia la richiesta che le terrà legate per un tempo indefinito.
Dall’Africa le vittime della tratta arrivano, ben nascoste, nelle nostre coste attraverso un canale aperto dalla Libia e continuano ad essere minacciate anche al loro arrivo in Europa.
Un ruolo importante in questo tipo di criminalità è attribuibile alle nuove tecnologie e ai nuovi mezzi utilizzati per comunicare (telefoni cellulari, internet); i persecutori, tra l’altro, utilizzano video con scene di torture e mutilazioni per tenere in una condizione di continua minaccia e terrore questi nuovi schiavi.
Dalla relazione di Paradiso è scaturito un dibattito e uno scambio di opinioni tra le tante persone presenti alla discussione (operatori dei centri di accoglienza, volontari di associazioni che si occupano di violenza e di tratta, avvocati, psicologi e assistenti sociali) che hanno chiesto come riconoscere i segnali che potrebbero indurre il sospetto che una persona sia vittima di questo tipo di violenza: a parte i segnali evidenti di una persona in stato di disagio quali lunghi allontanamenti dal centro e/o incapacità di intraprendere percorsi formativi, Paradiso ha sottolineato l’importanza di prestare attenzione alla frequenza nel centro di persone “troppo” interessate alle ragazze così come alla presenza di “sentinelle” ferme ad aspettarle fuori dai centri.
Paradiso ha concluso che per prevenire che le ragazze vengano inghiottite nella tratta e aiutare quelle che ne sono già vittime bisogna sempre denunciare i fatti che possono fare sospettare qualcosa di strano, annotare le vulnerabilità degli ospiti dei centri ma, soprattutto, cercare di fare rete tra gli operatori dei diversi settori anti-tratta.
Paradiso ha per questo riportato l’esperienza in Piemonte dove sono attivi dei tavoli di confronto tra gli operatori del pubblico e del privato sociale che generano una più solida e fattiva elaborazione di buone prassi per affrontare e risolvere le questioni rilevate.
E’ emersa dunque, forte, la necessità di realizzare, anche nel territorio catanese e siciliano, dei tavoli dove tutte le realtà, del pubblico e del privato sociale, che si occupano del fenomeno discutano e programmino azioni per rendere visibile il fenomeno, che supportino gli operatori del settore e che aiutino le persone sfruttate a venir fuori dalla marginalizzazione e dalla“invisibilità”, a denunciare lo sfruttamento e a iniziare un percorso di sana integrazione nel sistema.
Di sicuro il tema è molto complesso e merita ulteriori approfondimenti.
Per approfondire il tema e conoscere i risultati sul monitoraggio del progetto Piemonte in rete contro la tratta.