La rassegna della LILA giunge alla terza edizione ed anche quest’anno, grazie al sostegno ed alla disponibilità della Cooperativa Azdak, la rassegna parte all’Arena Argentina.
Come nelle precedenti edizione, verranno proposti film per riflettere insieme su libertà e universalità dei diritti. Temi che, a pieno titolo, hanno riguardato, e riguardano, l’impegno della LILA.
La rassegna inizierà il 2 settembre e andrà avanti per tutti i lunedì del mese: cinque film per riflettere sull’Africa.
- L’ultimo re di Scozia di K. Macdonald, GB 2007;
- Hotel Rwanda di T. George, GB 2004;
- Riusciranno i nostri eroi di E. Scola, Italia 1968;
- Moolaadè di O. Sembene, Senegal 2004;
- Terraferma di E. Crialese, Italia 2011.
A questo proposito vi proponiamo l’articolo di Andrea Spartaco ed Eva Brugnettini pubblicato su LMMagazine supplemento di LucidaMente (http://www.lucidamente.com/1430-oltre-hotel-rwanda-il-cinema-africano/)
“Hotel Rwanda”: il cinema africano.
Quando pensiamo agli immigrati di solito mettiamo in un unico calderone visivo una serie di immagini stereotipate, che cancellano le provenienze, i luoghi da dove queste genti partono. Tutto si limita a vedere persone che arrivano su fatiscenti barconi da paesi dell’Africa del Nord, perdendo di vista le differenti situazioni geografiche e sociali di provenienza. Così, quando arrivano in Libia, in Tunisia, o in Marocco, le loro identità di senegalesi, ugandesi, congolesi, liberiani, ecc., vengono cancellate da quella nuova che sono costretti ad assumere. Tutti si ritrovano semplicemente immigrati. D’altronde, nel nostro sforzo maggiore di immaginarli in Italia riusciamo a scorgere nello scenario collettivo immagini di centri di permanenza temporanea, file caotiche alle poste, fino a particolari più agghiaccianti come lo spaccio, lo stupro, la prostituzione e il suo controllo.
Meno spesso troviamo immagini di integrazione che non rimandino a una visione necessariamente violenta. A questo possiamo affiancare un altro modo di vedere questa gente, che racconta le radici del fenomeno migratorio. E’ un po’ come avvicinarsi ai luoghi vissuti da queste persone, zone morte del mondo dalle quali molti tentano di fuggire. Storie di individui si intrecciano così alla vita che in questi luoghi si vive, ai problemi sociali del continente africano, fanno riflettere sul rapporto tra tradizione e modernità, chiariscono perché dall’Africa spesso si cerca di scappare. Accade nel cinema, interessante punto di vista da cui guardare.
Per un verso, gli scenari del cinema africano richiamano certa crudezza del neorealismo italiano; è il cinema che denuncia la guerra fra ghetti e quartieri ricchi delle comunità di colore, che rivela il dramma delle mutilazioni fisiche, e psicologiche, risultato di una mentalità retrograda e di gesti criminali.
I luoghi di queste storie sono in prevalenza città. Visualizzate nel cinema come contenitori di violenze, crudeltà, illusioni, dove emergono tutte le contraddizioni del microcosmo urbano costituite dalla contrapposizione tra quartieri ultra moderni (una sorta di micro-mondi all’occidentale) ed enormi distese di baracche. E’ anche il cinema che racconta i sentimenti di inquietudine, angoscia, speranza, disperazione, presenti a partire dalla letteratura della seconda metà degli anni ’80 e nella prima metà degli anni ’90, contrassegnata da una totale sfiducia nel futuro dell’Africa. In questo cinema sono rappresentati anche luoghi isolati, villaggi, dove è messo in mostra l’esilio come unica soluzione per quelli a cui va stretta la statica comunità arcaica. E’ un cinema che fa vedere ambiziosi kapò, disposti a comandare massacri di inermi, a piegarsi al potente di turno per trarne vantaggi economici.
Accanto a questo cinema d’impegno sociale, c’è da un lato un nuovo fenomeno interno al cinema africano, il genere nollywoodiano. Negli ultimi anni in Nigeria è stata infatti messa su Nollywood, tra le prime industrie cinematografiche del mondo, con ben trenta film prodotti ogni settimana e un giro d’affari pari a 100 milioni di euro, con 250 mila persone al lavoro. Sono film per il pubblico di massa. Lo stile è quello delle soap opera americane, e dei tanto amati film di Bollywood in India (costi bassi e prevalenza di pubblico femminile), intriso di sentimentalismi, elementi magici e soprannaturali, anche se negli ultimi tempi la commedia ha preso il largo.
La maggior parte di questi film sono costruiti da trame che parlano di superstizioni popolari e Aids, come in Thunderbolt di Tunde Kelani, una storia di una maledizione inflitta da un marito che fa morire di Aids fulminante qualsiasi uomo abbia un rapporto sessuale con la moglie. Parlano anche di politica, conflitti etnici, stupro e prostituzione. Nollywood ha scatenato le critiche degli intellettuali nigeriani, secondo i quali trasmetterebbe stereotipi negativi e una mentalità retrograda, legata a riti magici e stregoneria.
Oltre agli sviluppi commerciali interni al continente e all’immagine che danno della realtà africana, ci sono quei film costruiti con casting che già hanno un impatto commerciale nei paesi occidentali, a cui appartengono grandi nomi come Nick Nolte, Jean Reno, Leonardo Di Caprio, Jennifer Connelly, prodotti o coprodotti da paesi europei o americani e distribuiti da grosse major del settore, come la 20th Century Fox per esempio, che relegano i grandi autori del cinema africano ai circuiti d’essai come retrospettive e manifestazioni. È il caso di Hotel Rwanda, Blood Diamond o L’ultimo re di Scozia, film dell’industria del cinema occidentale ambientati in Africa in tempi diversi.
Sono film che mostrano quello che succede nei paesi africani attraverso storie personali.
In questi film ci vengono mostrati governi fragili, che vivono sul sangue e sugli orrori. Quelli in carica uccidono per mantenere il potere, mentre i ribelli uccidono per arrivare al potere. A rimetterci, la popolazione civile, alla quale i cambi di governo non portano né benessere, né sicurezza. In questi film vediamo cittadini scappare dagli orrori della guerriglia. In tutti è presente la figura del giornalista, che a volte dimostra l’ipocrisia dei governi occidentali, a volte si lascia abbindolare dal carisma e dalla simpatia del potente, a volte in crisi ma sempre appassionato del suo lavoro, spesso conscio del fatto che immagini anche violente e assurde come quelle che ha mostrato non cambieranno nulla.